Vitamina D: un viaggio lungo milioni di anni
Vitamina D: una vitamina dalla lunga storia e che ha accompagnato l’uomo in tutte le tappe della sua evoluzione. Ma come si sono modificate nel tempo le funzioni, l’utilità ed il fabbisogno della vitamina D? Lo ha spiegato il prof. Sartori, che ha tenuto un’interessante relazione nel corso di un recente congresso svoltosi a Genova, nella quale, ripercorrendo a grandi linee le tappe fondamentali dell’evoluzione dell’uomo dalla preistoria fino ai giorni nostri, ha analizzato anche il lungo percorso della vitamina D in tutto questo periodo di tempo.
Ricordiamo che il ruolo principale della vitamina a livello scheletrico risiede nella sua capacità di favorire l’assorbimento intestinale di calcio e renderlo disponibile per le ossa e che la fonte principale di vitamina D per il nostro organismo è il sole.
Sono passati ormai 4 milioni di anni da quando l’uomo lasciò le buie e umide foreste per migrare verso gli altipiani dell’Africa orientale, un territorio molto più assolato e vicino all’equatore. In questo nuovo habitat, l’uomo divenne progressivamente glabro ed aumentò, di conseguenza, l’area corporea esposta all’irraggiamento solare, ma, in presenza di così elevati livelli di vitamina D, fu necessario un ulteriore adattamento: l’uomo per proteggersi dagli effetti di così elevati livelli di vitamina D, ridusse l’assorbimento intestinale di calcio.
Bisogna aspettare qualche milione di anni ed arrivare alla scoperta dell’agricoltura per veder cambiato di nuovo il rapporto con il sole e, di conseguenza, lo stato vitaminico degli uomini di quel tempo. L’uomo dedito alla caccia si cibava di bacche ed insetti che garantivano un adeguato apporto di calcio. L’uomo che, invece, nella Mesopotamia iniziò a dedicarsi all’agricoltura imparò a prediligere il cibo derivato dal suo lavoro, cioè alimenti essenzialmente di natura vegetale. Anche lo stile di vita cambiò: l’uomo passava molto più tempo in casa rispetto ad i suoi antenati, faceva più vita di comunità ed iniziò ad utilizzare i vestiti. Tutti questi fattori determinarono una diminuita esposizione al sole e, di conseguenza, un drammatico calo della produzione di vitamina D rispetto alle popolazioni precedenti. Altra tappa fondamentale, che cambiò il rapporto dell’uomo con il sole, fu l’avvento della rivoluzione industriale che segnò il passaggio da una civiltà rurale ad una civiltà industriale portando la popolazione a vivere in grandi agglomerati urbani. Oltre alla mancanza di luce solare, accentuata anche dallo smog, questo cambiamento nello stile di vita portò ad un’ulteriore diminuzione dei livelli di vitamina D nella popolazione. A questo cambiamento si unì lo sviluppo di diverse malattie, tra cui il rachitismo. L’abitudine di quel tempo prevedeva che i ragazzi malati restassero chiusi in casa per evitare movimenti, un circolo vizioso che non fece altro che accentuare un problema che, in quel tempo, non trovava soluzione.
La soluzione iniziò ad arrivare solo nel 1920 nel momento in cui si scoprì che l’olio di fegato di merluzzo conteneva un principio antirachitico: fu l’inizio di una nuova epoca, segnata dall’interesse scientifico per la vitamina D e dalla presa di coscienza dell’importanza della prevenzione.
Oggi il nostro rapporto con il sole è un po’ contraddittorio, da un lato temiamo i danni derivanti da un’eccessiva esposizione solare, ma dall’altro conosciamo l’importanza dei raggi UVB nella produzione di vitamina D e iniziamo a prendere coscienza del fatto che alcune nostre abitudini di vita (creme solari, lavori al chiuso) ci stanno allontanando dall’unica fonte di vitamina D che ci ha accompagnato nel corso di tutta la nostra evoluzione: i raggi solari!