“Torino, città dell’anima tra passato e presente” di Davide Romano
Mentre torno a casa sotto i portici illuminati, penso che forse è proprio questo il segreto di Torino: la sua capacità di essere moderna senza dimenticare le sue radici, di guardare al futuro senza rinnegare il passato. Una città che, come diceva Calvino parlando delle sue città invisibili, non si racconta, si vive.
C'è qualcosa di regale che ancora aleggia tra i portici di Torino. Non è solo il retaggio sabaudo, quella compostezza aristocratica che si respira in piazza Castello o lungo via Po. È qualcosa di più sottile, un'eleganza discreta che si nasconde dietro quella facciata austera e un po' severa, tipicamente piemontese.
Mi capita spesso di passeggiare sotto questi portici nelle prime ore del mattino, quando la città si sta ancora stiracchiando dal sonno. È in questi momenti che Torino rivela la sua vera essenza, quella che Cesare Pavese aveva colto perfettamente quando scriveva: “Torino è la mia città, perché in essa ho vissuto le prime scoperte nella vita”. E come dargli torto? Ogni angolo di questa città racconta una storia, ogni palazzo custodisce un segreto.
La nebbia autunnale che sale dal Po avvolge i palazzi barocchi in un'atmosfera quasi metafisica, come in un quadro di de Chirico. È questa la Torino che amo di più, quella che si svela piano piano, come una signora d'altri tempi che non ama ostentare. Una città che Guido Piovene definì “la più seria e la più civile d'Italia”, e che ancora oggi mantiene quel suo carattere discreto e operoso.
Mi fermo al Caffè San Carlo, uno di quei caffè storici che sono molto più di semplici locali pubblici: sono istituzioni, testimoni silenziosi di oltre due secoli di storia. Qui si respira ancora l'aria del Risorgimento, quando intellettuali e patrioti si davano appuntamento per discutere il futuro dell'Italia. E proprio qui, tra specchi e stucchi dorati, mi torna in mente quello che scrisse Edmondo De Amicis: “Torino è una città che invita al raccoglimento e allo studio”.
La FIAT ha segnato profondamente il carattere di questa città, trasformandola nella capitale dell'industria italiana. Ma Torino non si è mai limitata a essere solo questo. Ha sempre mantenuto quella sua anima culturale, quell'eleganza innata che la rende unica. Come non pensare alla Mole Antonelliana, simbolo ardito che sfida il cielo, o al Museo Egizio, secondo solo a quello del Cairo?
Cammino verso piazza San Carlo, il “salotto buono” della città. Le statue equestri dei Dioscuri sembrano ancora vigilare su questo spazio perfetto, geometricamente armonioso. È qui che si coglie appieno quello che Natalia Ginzburg intendeva quando parlava della “città dell'ordine”: una città dove tutto sembra essere al posto giusto, dove anche il caos ha una sua logica.
Ma Torino non è solo ordine e compostezza. C'è anche la Torino popolare dei mercati rionali, come Porta Palazzo, dove i profumi delle spezie si mescolano alle voci dei venditori. C'è la Torino multietnica di San Salvario, dove le antiche botteghe convivono con i locali della movida. C'è la Torino operaia del Lingotto, oggi rinata a nuova vita.
La sera, mentre il sole tramonta dietro le Alpi, tingendo di rosa la basilica di Superga, penso a come questa città abbia saputo reinventarsi senza perdere la sua identità. Come scrisse Mario Soldati: “Torino è una città che non si concede subito, ma quando lo fa, è per sempre”.
I giovani oggi popolano i locali delle Murazzi o i bar di via Po, ma lo fanno con quella compostezza un po' british che è tipica dei torinesi. Perché Torino è così: anche quando si diverte, lo fa con stile. È una città che non urla, sussurra. Non si impone, seduce.
Mentre torno a casa sotto i portici illuminati, penso che forse è proprio questo il segreto di Torino: la sua capacità di essere moderna senza dimenticare le sue radici, di guardare al futuro senza rinnegare il passato. Una città che, come diceva Calvino parlando delle sue città invisibili, non si racconta, si vive.
E mentre la notte avvolge le vie del centro, mi sorprendo a pensare che Torino è come un buon bicchiere di Barolo: ha bisogno di tempo per essere apprezzata, ma una volta che ne hai colto l'essenza, non puoi più farne a meno.