EDITORIA
Comunicato Stampa

Il mio “68”

Una settimana intensa importante che ha marcato il pensiero mio e della mia generazione, infangato e deprezzato dalla politica successiva. Un crogiuolo di idee e ideali a confronto durante l'occupazione della prima scuola superiore d'Italia. Cosa ha lasciato? Una forma di pensiero e comportamento libero e autonomo che contrasta il conformismo, il perbenismo, la moralità di volta in volta attuale, imposte dalla società reale e questo per me rappresenta il “68”. Certo ci sono sempre stati e ci sono gli estremisti e i violenti come ci sono gli ignoranti, i carrieristi, gli opportunisti, i pensatori di parte; quelli non si possono purtroppo evitare ma il mondo in quei giorni è cambiato davvero, poco forse ma qualcosa è cambiato per sempre.

Solo ora dopo tanti anni ho deciso di mettere nero su bianco il ricordo di quello che è accaduto veramente in quella settimana di dicembre 1968, una settimana che ha definito e determinato (esaminata col senno di poi) l’intera mia vita seguente.
Tutti sanno che mi sono trovato impegolato nella “rivoluzione studentesca” ormai imperversante nelle università europee ed italiane, alcuni sanno o ricordano che la mia scuola, l’istituto tecnico industriale per chimici Michelangelo Buonarroti di Carrara fu la prima scuola superiore occupata d’Italia, dalla quale si diffuse a macchia d’olio la stagione delle occupazioni almeno per quanto riguardava la Toscana, l’Emilia-Romagna e la Liguria inframmezzate da episodi anche violenti: ricordo la sera in cui davanti al noto locale viareggino “il Piper”, studenti e lavoratori contestarono gli avventori vestiti a festa con lancio di pietre e ribaltamento di automobili lussuose, ricordo un amico chiamato Cavallo per la mole e la cattiveria che lo prendeva a volte quando facilmente imbizzarriva, il quale raggiunse il luogo con la sua porche rossa fiammante carica di pietre da lanciare e la sua rabbia quando la trovò ribaltata come le altre nella tarda serata. Era figlio di un farmacista e poi è diventato sindaco socialista di un grosso centro della lunigiana.
La sera nella quale a Parma ad una prima del Teatro regio una coppia di signori sfidò i movimenti giungendo a bordo di una carrozza trainata da due cavalli bianchi per essere investita da una pioggia di uova e frutta (lì io non c’ero però).
Ricordo anche quando a Pisa, nella stazione, i treni furono bersagliati: episodio cui seguirono duri scontri studenteschi coi reparti della Folgore e a Livorno quando il liceo occupato venne circondato dalla “Celere” per essere sgombrato: l’operazione non riuscì perché oltre seicento studenti e lavoratori giunti da tutta la toscana circondarono a loro volta la polizia. La giornata finì bene senza scontri e in una festa durata tutta la notte nella scuola “liberata”. Episodi.
In effetti tutto ebbe inizio alla fine di novembre quando il movimento studentesco ormai organizzato e strutturato iniziò una campagna di assemblee nelle scuole e nelle piazze della città coinvolgendo gli studenti in lunghe discussioni e riflessioni sullo stato e il diritto, sull’uso indiscriminato dell’autorità e del privilegio che contraddistinguevano la politica dell’epoca.
L’università non era accessibile a tutti allora, la divenne poi anche se penso per motivazioni ben diverse da quelle da noi reclamate, una questione di uguaglianza nelle possibilità e di affermazione di diritti sacrosanti.
La verità è che era iniziata una crisi dell’espansione lavorativa per cui occorreva ritardare l’immissione al lavoro dei giovani e la leva militare non bastava più a rallentarla: l’università forniva anni supplementari e nuovi prestigiosi posti di lavoro ben selezionati.
Ma tant’è!
L’università di sociologia di Trento iniziò a sfornare laureati col “sei politico” sdoganando la leggenda che ha infangato il ricordo delle lotte e delle motivazioni, laureando personaggi in seguito diventati politici di rilievo (ancora tutt’oggi, come Curcio) e ideologi precursori di quelli che sarebbero stati gli anni di piombo.
Tutto vero, ormai è storia ma io avevo allora sedici anni ed ero motivato da ideali ben più profondi e meno politici non sapendo allora riconoscere le trame che stavano dietro tutto.
Carrara era una realtà molto particolare all’epoca: a differenza di altre realtà, la politica era nettamente polarizzata e in competizione; esistevano organizzazioni di anarchici tradizionali seri e silenziosi, duri lavoratori nelle cave di marmo e di giovani molto agitati: andava di moda la rivoluzione cinese di Mao e circolava ovunque il libretto rosso dei suoi pensieri così come il basco azzurro, omaggio alle popolazioni basche che lottavano per l’indipendenza in spagna che diveniva divisa e conferiva tra l’altro un’aura un po' bohemienne apprezzata dalle ragazze e dai ragazzi in omaggio alla cultura francese che aveva originato in Europa la “rivoluzione giovanile”.
Per contrapposto esistevano le organizzazioni massoniche dei padroni delle cave abituate a confrontarsi da secoli duramente ma anche lealmente coi lavoratori stessi e a collaborare pure, nell’interesse comune.
In questo complesso di relazioni emergeva la nuova organizzazione comunista dei lavoratori portuali che detestava gli uni e gli altri e rimanevano ovviamente le strutture amministrative di origine fascista molto ben organizzate e socialmente rilevanti che condivideva con Massa città moderna evoluta e terziaria, la sede della provincia e della grande amministrazione pubblica.,
Un crogiuolo di idee e ideali a confronto in una città diversa da ogni altra, una piccola città chiusa dove c’erano pochi uffici, poche infrastrutture moderne ma la sede del comune di Massa Carrara, dove i ristoranti erano osterie, il vino veniva venduto sfuso riempiendo i fiaschi nelle cantine e gli abitanti per la maggior parte semplici operai delle cave o artigiani e artisti; c’erano il mercato delle erbe e l’unico supermercato era l’Upim, due grandi scuole, il “chimico” prevalentemente maschile e l’istituto d’arte, prevalentemente femminile; un cinema. Nulla per i giovani salvo le marine a pochi chilometri.
L’ambiente ideale per dare spazio alla discussione e questo avvenne; tra fine novembre e i primi di dicembre si susseguirono assemblee e adunanze in piazza di fronte al comune, all’ombra della statua della colomba in volo che inneggia alla libertà ma soprannominata per la forma “dell’uccello padulo, quello che vola all’altezza del C..o”.
Discorsi, parole infiammate, convinte e convincenti, il mondo cambiava attorno a noi e noi dovevamo contribuire al cambiamento. Niente di più.
A Carrara in quei giorni non ci furono mai scontri ma solo confronti.
La seconda settimana di dicembre fu votata l’occupazione della scuola e questo avvenne.
I professori e il preside furono accompagnati nelle aule, prelevarono i registri e i documenti che rinchiusero a chiave nell’ufficio di presidenza e quindi accompagnati alla porta, semplicemente. Oh sì, ci furono proteste e contestazioni ma nulla di più.
Da quel giorno la polizia continuò a sorvegliare strettamente la zona attorno in cerca di un pretesto qualunque per estrometterci ma questo pretesto non fu mai loro fornito anzi, dovettero loro malgrado confrontarsi con le squadre di fascisti provocatori che ogni tanto venivano appunto a provocare, insultando e gridando e occuparsi di mantenere l’ordine.
In pratica divennero i nostri garanti.
Del resto, l’unico altro motivo che avrebbe provocato disordini sarebbero state le ragazze presenti accanto agli occupanti e occupanti “part time” loro stesse. Le loro famiglie avrebbero volentieri ripreso il controllo delle sciagurate figlie dissidenti se solo queste non fossero uscite alle cinque di ogni sera per tornare a casa loro e ritornare da noi la mattina dopo.
Occupare seriamente una scuola crea molti più problemi di quanto la gente pensi, tanto più in quel periodo e in quel contesto: occorreva naturalmente occupare il tempo nelle assemblee praticamente costanti che ospitavano inviati da ogni dove i quali rappresentavano le loro idee e proponevano modi di applicarle, rappresentanti degli studenti delle università, alcuni giovani filosofi, alcuni esponenti dei partiti politici ma altrettanto, trattandosi di una occupazione dura, occorreva pur mangiare e dormire dunque occorrevano provviste e coperte, sacchi a pelo per oltre quattrocento persone che si ridussero a circa duecento permanenti dopo alcuni giorni.
Intervennero per questo i portuali che raccolsero e fornirono il necessario solidarizzando sempre con noi: camion di derrate.
Ma l’obiettivo della contestazione non era l’occupazione e la chiusura della scuola bensì la divulgazione, la diffusione del pensiero e delle motivazioni della protesta; dunque, la necessità di mandare squadre presso le altre scuole della regione per implementarla e questo comportava la necessità di muoversi con auto e treni per decine e decine di persone ogni giorno.
Lunghe e appassionate discussioni avvennero nelle assemblee per decidere cosa, come e chi dovesse fare e perché: si formarono due gruppi di pensiero potremmo definirli di destra e di sinistra, più avventati e decisi gli uni, più moderati e indecisi gli altri.
Pochi mantennero una posizione centrale equilibrata tra le due esigenze chiamiamolo centro; a quello appartenevo io e ricordo oggi con orgoglio il rispetto degli altri per le mie opinioni, eppure ero uno dei più piccoli.
Furono organizzate squadre per la raccolta di denaro che battevano le cittadine, le spiagge e il litorale questuando. Il denaro iniziava ad arrivare abbondante e occorreva gestirlo.
Chi avrebbe gestito il denaro necessario alla benzina e al cibo? Quando, quanto e come elargirlo?
Le motivazioni e le decisioni venivano prese in assemblea a maggioranza assoluta, l’unica forma di maggioranza riconosciuta ma poi occorreva che qualcuno organizzasse.
Questo compito toccò al “centro” equidistante e razionalmente motivato.
Furono organizzate decine di escursioni presso tutte le scuole possibili e raggiungibili, a volte invitati a presentare e condividere l’esperienza che iniziava ad accomunare al basso il movimento studentesco in crescita esponenziale.
Pensate solo a quanto costò l’invio di oltre seicento persone a Livorno quel giorno in cui fu necessaria una prova di forza e prima ancora quando la scolaresca venne motivata.
Un ulteriore problema venne ad aggravare la situazione riguardo le necessità: le scuole occupavano in numero sempre maggiore, e tutte in modo duro e permanente, erano chiuse per davvero ma nessuna o quasi aveva risorse per sostenersi.
Ancora una volta i portuali di Carrara ma anche le botteghe e i commercianti e gli artigiani e anche gli operai contribuirono alla grande con un unico difetto: rifornivano in abbondanza ma solo noi; a noi toccava ridistribuire le risorse alle altre scuole con le quali eravamo in contatto.
Non pensate che tutto questo accadesse per una durata di mesi, no, tutto questo durò circa una settimana, una settimana intensa decisamente tra la metà del mese e l’inizio delle vacanze di Natale tra il 20 e il 22 dicembre data nella quale l’occupazione cessò; formalmente la scuola fu restituita, forse mai stata così pulita e in ordine e tutti tornarono a casa.
Non era successo nulla di quanto temuto, ipotizzato da qualcuno sperato; nessuno si era fatto male, nessuno aveva subito conseguenze, tutti avevano imparato qualcosa: il comune (non certamente orientato a sinistra) affisse in seguito un manifesto in cui si ringraziavano i componenti tutti del movimento studentesco di Carrara per la gestione corretta dell’occupazione e dell’immobile, dandocene atto.
In seguito negli anni successivi non andò sempre così, anzi il seme è germogliato in piante molto differenti e improduttive.
Una settimana, dunque, una breve settimana, forse anche meno ma sapete com’è: il tempo si dilata quando l’azione si svolge in modo frenetico e compulsivo; ma perché la ricordo, perché è così profondamente incisa nella mia memoria e nella mia coscienza, non tanto i singoli episodi quanto l’insieme, il significato?
Perché io, studente sedicenne, quindi più giovane di tanti altri, proveniente da fuori quindi poco addentro alle tensioni civili della città, abitando in una casa in compagnia di altri due ragazzi, uno di Lucca ed uno di Castiglioncello, di due ragazze che frequentano l’artistico, la famiglia di una signora grande e grossa, una vera matrona; rossa e anarchica fu insignita della medaglia d’oro alla resistenza e di suo marito, piccolo e mingherlino, zoppicante per le ferite subite in un attentato in cui fu picchiato: un intellettuale fascista, amico di Almirante e collaboratore del giornale il Secolo XX di Genova, funzionario comunale; non si parlava mai di politica a tavola ma quante discussioni poi nel salottino, ascoltando il telegiornale.
Io, proprio io con altri tre o quattro ero la persona incaricata di gestire i flussi di risorse dell’occupazione; io, proprio io tutt’altro che estremista politico credendo nella democrazia, nella tolleranza, nella collaborazione e negli ideali utopici della gioventù, mi sono trovato per qualche giorno, una settimana, al centro di quella che fu e divenne una bolla di espansione, al centro dell’esplosione della rivoluzione culturale del 1968.
Io che disponevo di 15.000 lire mensili per fare tutto, dall’andare al cinema (200 £) al comprarmi le sigarette, ad ogni altra cosa e dovevo anche pagare il biglietto del treno per tornare a casa ogni tanto (ovviamente spesso lo facevo in autostop), io maneggiavo assieme ad altri cinque o sei, somme per me enormi impensabili, inimmaginabili: la giornata di Livorno costò oltre settecentomila lire, pensateci.
Cosa mi ha lasciato in dote quella settimana? Grazie alle foto nei sit-in, agli infiltrati a qualunque titolo e alla notorietà, a me per altro ignota ottenuta, un marchio trentennale di persona pericolosa per lo stato, una vacanza pagata per un anno e mezzo nella splendida isola sarda all’epoca del servizio militare nel ‘72, a Sassari e poi a Macomer assieme ad amici comuni di amici allora conosciuti, provenienti dalla Calabria e dalla Sicilia una compagnia cui venivano sequestrati dagli armadietti periodicamente ispezionati, giornali definiti tendenziosi come l’Espresso, assieme al nipote di un noto senatore comunista cui per montare di guardia veniva fornito un fucile senza il caricatore, sotto la guida di un colonnello ripudiato perché appartenente alla nota organizzazione nera ed eversiva genovese “la rosa dei venti”, e di un maggiore dalla cui caserma le brigate rosse piemontesi avevano trafugato armi e munizioni, assieme ad altri trecentocinquanta militari dei quali tre furono arrestati al loro arrivo perché ricercati e gli altri che avevano un tasso di analfabetismo totale del 26%, di un siciliano pastore di Mazara del vallo che non aveva mai visto prima il mare.
Solo molti anni dopo ho scoperto che il capo del movimento studentesco del luogo e del momento, iscritto al partito comunista, proveniva da organizzazioni fasciste estreme, che qualcuno non ho mai saputo chi, gli pagasse una specie di stipendio e che il suo scopo era chiaramente ottenere lo scontro violento quando e quanto più possibile ma anche lui ha dovuto imparare che la maggioranza fatta di pensatori liberi e idealisti non aveva quello scopo, non lo condivideva.
Lo stato non mi ha mai piegato ma mi ha spiegato come le cose funzionano davvero nella realtà e io ho pragmaticamente accettato il compromesso senza perdere di vista i miei personali convincimenti e obiettivi.
La storia mia personale in quella settimana ha incrociato la storia che in quel momento e in quel luogo come in molti altri si stava creando, ha incrociato per un fugace momento la storia con la S maiuscola, ora lo so, ed io ho maturato la coscienza del mio essere un uomo con idee e motivazioni e convinzioni in perenne evoluzione, la coscienza della mia profonda individualistica anarchia, tutt’altro che contrapposta ma al servizio della società come dovrebbe essere o quantomeno come io ritengo dovrebbe essere, una storia di cambiamento e di valori, di entusiasmi e risultati condivisi.
Non è rimasta traccia ormai di quella settimana e nessuno ne ha mai sentito parlare, io non l’ho mai raccontata finora ma non ho rinnegato e non rinnego nulla di quel che ho fatto detto e pensato in quel periodo: ho approfondito e compreso il significato profondo della parola Anarchia che in quei giorni è germogliata in me ed ho compreso che si tratta di una filosofia moderata, collaborativa, di disponibilità, di assoluta libertà difesa strenuamente, niente affatto violenta come la realtà e il potere vorrebbero classificarla a proprio uso e consumo: una forma di pensiero e comportamento libero e autonomo che contrasta il conformismo, il perbenismo, la moralità di volta in volta attuale, imposte dalla società reale e questo per me rappresenta il “68”.
Certo ci sono gli estremisti e i violenti come ci sono gli ignoranti, i carrieristi, gli opportunisti, i pensatori di parte; quelli non si possono purtroppo evitare ma il mondo è cambiato davvero in quel momento, poco forse ma qualcosa è cambiato per sempre.




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