Africa Vs resto del mondo 2025
L’epoca storica della colonizzazione europea in Africa è finita: nulla di più falso. Il colonialismo è cambiato; non è mai finito, ha solo cambiato pelle e gli africani sono ancora solo e soltanto oggetti, merce, mercato, ma non può durare e anzi prima questa situazione finirà prima tutti potremmo stare meglio. Il cambiamento ci insegue tutti, imposto dalla natura e dalle attività antropiche, dalle umane necessità ed emergenze; la storia prosegue nel suo cammino, indifferente alle parole, riproponendosi per essere cambiata nei fatti e nella sostanza, offrendo nuove opportunità ma potrà farlo solo quando capiremo che non esistono nazioni, paesi, confini tracciati sulla carta, razze e colori della pelle a dividerci, bensì che ogni persona è una, un individuo e come tale nasce, vive, muore, lasciando in eredità il suo ricordo e la sua motivazione che l’immigrato, qualunque sia la provenienza e il modo in cui è giunto non è “l’immigrazione” problema generico con declinazioni ampie e politiche ma è una persona!.
L’epoca storica della colonizzazione europea in Africa è finita: nulla di più falso.
Africa 2025: per il mondo intero è, (sarebbe finalmente) necessario il superamento del concetto di colonizzazione occidentale che è ancora pienamente attiva in Africa ancora nel 2025.
L’emigrazione e l’immigrazione esistono da quando esiste l’uomo, è un processo inarrestabile ma potrebbe essere controllato semplicemente rinunciando alla colonizzazione o quantomeno rinunciando a sostenere interessi nazionali e privati di singole economie occidentali, europee in particolare che quantomeno che vanno a scapito di quelle degli africani.
Per farlo occorrerebbe finalmente arrivare alla concretizzazione dell’Europa stato sovrano con costituzione e istituzioni sovranazionali e superiori a quelle degli stati federati; una Europa che possa parlare ed agire come tale, che abbia interessi come tale, che ovviamente ricomprenda nella sua comunità di stati anche le varie colonie extraeuropee che di questi subiscono la sovranità, coi relativi vantaggi e impegni che devono (dovrebbero) diventare comuni.
Fino a quel momento tutte le parole dei vari politicanti europei sono espresse a vanvera a differenza di quelle degli USA o della Cina o della Federazione Russa tra gli altri.
Il processo non può che iniziare (e sarebbe ora) smettendo di confondere ipocritamente, in occidente come in oriente, la figura del singolo immigrato, integrato o meno, obbediente ed osservante o meno, una persona buona o cattiva ma dalla univoca storia, con “l’immigrazione” che è un fenomeno geografico e politico di massa in cui le persone singole hanno ruoli esclusivamente marginali; per ora sono pochi insignificanti milioni ma certamente destinati a crescere esponenzialmente e per colpa dei colonizzatori attuali o ex che siano.
In questi giorni ho incontrato molte persone e parlato con molti italiani ed europei ma anche molti immigrati di istruzione e cultura superiore, entrati legalmente in Italia, spinti dal pressante desiderio di affermare la loro origine africana, di spiegare cosa significhi essere africani con la pelle nera in un mondo di bianchi occidentali; ho capito molte cose che prima forse mi sfuggivano.
La prima cosa che ho compreso è che l’immigrato, qualunque sia il modo in cui è giunto da noi non è “l’immigrazione” problema generico con declinazioni ampie e politiche ma è una persona!
Ognuno di loro, come ognuno dei nostri connazionali che, costretti dalla necessità o per scelta motivata, sono emigrati in altri paesi è singolarmente una persona, con una storia alle spalle, una storia personalissima come quella di ognuno di noi.
Ho detto in un mondo di bianchi, individuando un contesto che definisce la normalità come una media statistica in cui il valore dominante è la pelle chiara.
Quando il novanta percento di persone hanno la pelle chiara pur nelle molteplici sfumature dal latteo irlandese con le lentiggini all’ocra bruno giallonola o rossastra dei meridionali, il dieci percento di persone dalla pelle nera è statisticamente ai limiti o fuori dal valore medio definito normalità rapporto che si inverte scambiando il contesto.
Un valore meramente statistico che nulla ha a che fare con la definizione di umanità.
Il processo di cambiamento e adattamento alle nuove condizioni ambientali (in ogni possibile declinazione) che si stanno modificando sotto i nostri occhi in Africa non può passare dalla semplice sostituzione della realtà culturale esistente con un modello africano occidentalizzato e asservito; deve avvenire tramite lo sviluppo, per tutti gli africani, di una istruzione di base africana, che permetta loro il riconoscimento delle culture africane, la conoscenza delle risorse e possibilità africane, permettendo lo sviluppo di un’economia africana maggiormente sostenibile che ridia valore e dignità al lavoro e alla comunità, influenzando, di ritorno grazie all’emigrazione e all’integrazione possibile, anche noi che questi valori abbiamo perso e ricerchiamo annaspando nell’oceano della ricchezza.
Un continente, quello africano che contiene circa due miliardi di persone con una propria economia ancestrale ai limiti della sopravvivenza, è soltanto, per noi occidentali come per i cinesi e gli indiani, gli americani che complessivamente rappresentano due terzi della popolazione mondiale, un semplice serbatoio di ricchezze naturali cui attingere per preservare e possibilmente aumentare la propria ricchezza.
La condizione per cui questo è divenuto nei secoli e rimane tutt’ora possibile è poter mantenere quei due miliardi di persone succubi dell’ignoranza e della schiavitù materiale.
Questo è stato il colonialismo e ancora questo è il post colonialismo moderno, l’attualità.
Il potere va concentrato e mantenuto nelle mani europee, cinesi, americane, russe, indiane ma oggi non più direttamente esercitato con la forza e la struttura diretta bensì con la selezione e l’istruzione, centellinata e finalizzata a formare figure di potere africane ma occidentalizzate, che crescono nella convinzione profonda di essere superiori agli altri e che apprezzano il potere e il privilegio che deriva dalla loro istruzione e vicinanza ai dominatori mentre, contemporaneamente, imparano a disprezzare la loro cultura antica.
Il lavoro fornito ai bianchi, agli occidentali, per conto degli occidentali, permesso da un’istruzione di tipo occidentale è un privilegio riservato ai nuovi schiavi africani che si distinguono dagli altri per capacità, ricchezza personale, potere sociale già presente.
Una volta si sarebbero definiti liberti.
Se la storia ha insegnato qualcosa è che questa condizione è stata nel lungo periodo la causa del crollo di intere civiltà e della dissoluzione di imperi nei millenni.
I programmi di aiuto sbandierati consistono nella fornitura di tecnologie occidentali create per gli occidentali che hanno perso, per ragioni di mercato, la capacità e la possibilità di aggiustare le cose che si rompono a favore di cose che si guastano definitivamente in modo programmato: si chiama consumismo.
La fornitura di questo tipo di tecnologie ultramoderne e complete con fine vita programmato, destinate a guastarsi senza poter essere aggiustate e dunque impossibili da rendere utilizzabili senza supporto occidentale, non è un aiuto ma uno sfruttamento brutale destinato a trasformare prima in un mercato enorme e poi in una definitiva pattumiera l’intero continente africano.
Ma la nostra economia e la durata della nostra vita non hanno orizzonti millenari, al massimo secolari e tanto basta per motivare la ripetizione degli errori.
Altri aiuti molto sbandierati e gratificanti per il popolo occidentale, genericamente ignorante o reso più semplicemente passivo nell’autonomia di pensiero, succube del dio PIL, del consumismo in crisi, degli effetti della globalizzazione commerciale che ha stravolto gli equilibri ecologici di mondi lontani dall’Europa e pesantemente sfruttati, sono quelli umanitari;
in primis quelli farmacologici e alimentari che contribuiscono a mantenere la popolazione di un continente intero reso incapace di auto-produrre a sufficienza per mancanza di tecnologia, per mancanza di conoscenze, per mancanza di istruzione, di strutture organizzate ma soprattutto per mancanza di denaro corrente, quello che serve a rendere le persone e le comunità autonome e indipendenti.
Ovvio che tutti facilmente concordano sulla necessità dell’istruzione di queste popolazioni e un altro aiuto reclamizzato riguarda proprio questo aspetto: si aprono scuole centralizzate e lontane dai villaggi e dalle comunità, dal costo elevato che solo pochi privilegiati utili possono permettersi, nelle quali si insegna l’effetto delle quattro stagioni a popolazioni che di stagioni ne hanno solo due e due ne conoscono;
si insegna a coltivare le rose per il mercato europeo e tutto sulle rose ma nulla sui fiori locali, si insegna la lingua del colonizzatore o ex colonizzatore ma nessuna delle altre sessanta e più lingue che sono parlate nel continente.
Lingue parlate ho detto perché nessuno o quasi le sa scrivere e questo perché nei villaggi non ci sono scuole elementari e dove ci sono, le lingue autoctone non vengono insegnate; solo quelle ufficiali, francese, inglese, olandese o portoghese che sia, e tantomeno lo sono alle bambine cui viene insegnato esclusivamente a diventare mogli devote e succubi, madri altrettanto devote e succubi, lavoratrici obbedienti che aggiungono al lavoro duro nei campi pari a quello degli uomini, quello necessario alla loro sussistenza: procurarsi, preparare e fornire il cibo, prendere e raccogliere l’acqua e portarli ai lavoratori sui campi nei quali si uniscono a loro, e a casa poi dove gli uomini, stanchi, riposeranno amorevolmente accuditi da mogli e figlie che per rilassarsi cuciranno, rammenderanno, laveranno i panni e rassetteranno le abitazioni.
Le bambine anche se potessero non avrebbero il tempo e la forza di andare a scuola per ricevere almeno una istruzione elementare.
Ostacolando l’emancipazione femminile o permettendo il perdurare dello sfruttamento femminile non si genera civiltà almeno come noi la intendiamo ma la si sfrutta.
In queste realtà quei pochi privilegiati che potranno studiare diventeranno, e così deve essere, uomini e rarissime donne di potere, occidentalizzati e al servizio degli occidentali.
La storia lo insegna: a lungo andare si ribelleranno al colonizzatore, diventeranno dittatori e capipopolo, sfruttatori del loro stesso popolo africano che manterranno nelle stesse condizioni di arretratezza e sudditanza che garantisca il loro potere e la loro ricchezza ma agli occidentali, ai bianchi e ai gialli, va bene anche così.
Un paese senza radici, senza una lingua comune che definisca la comunità, l’appartenenza, l’identità culturale che permetta la comunicazione e lo sviluppo di una autonoma economia produttive e di un commercio interafricano indipendente dall’occidente e dall’oriente, non ha, non potrà mai avere e non avrà, futuro autonomo.
Il sud del mondo, la pattumiera del mondo, il mercato degli avanzi del mondo, il serbatoio delle ricchezze naturali del mondo e dal resto del mondo sfruttate, è destinato a mantenere il suo stato di sudditanza all’intero mondo e così sarà sempre finché l’ipocrisia, occidentale quantomeno, perdurerà nell’interesse ma nel contemporaneo degrado delle stesse comunità.
Un’azione veramente positiva e utile sarebbe fornire agli africani le basi per una vera indipendenza economica e sociale, autosufficienza produttiva e commerciale ma anche commerci equi per una completa integrazione globale dei suoi abitanti permettendo loro di risalire la scala del benessere e della cultura, dell’indipendenza vera dal colonialismo.
Non si può più continuare a pensare che l’Africa non esista e fornire, localmente e separatamente senza progettualità, aiuti ipocriti, regalie non funzionali ma occorre finalmente sostenere lo sviluppo dell’istruzione africana, diffusa e capillare di cui beneficeremmo anche noi a lungo andare.
L’Africa rappresenta il futuro di un mondo e di una civiltà vecchia, in piena decadenza, senza più valori e scopi tranne la ricchezza smodata.
L’Africa è grande la sua popolazione è giovane, i suoi bisogni elementari e chiari permetterebbero lo sviluppo di un’economia che porterebbe necessariamente all’affermazione di un modello più sostenibile, che si diffonderebbe per contagio al resto del mondo, in cui il lavoro riacquisterebbe dignità e motivazione perché la loro capacità di costruire ed aggiustare e sopravvivere non è andata persa.
L’Africa è un luogo immenso in cui le società, anche le nostre, potrebbero ritrovare la comunità e il suo spirito solidale perché anche questo, nonostante tutto, esiste e non è mai scomparso neppure da noi.
Il colonialismo è cambiato; non è mai finito, ha solo cambiato pelle e gli africani sono ancora solo e soltanto oggetti, merce, mercato, ma non può durare e anzi prima questa situazione finirà prima tutti potremmo stare meglio.
Il cambiamento ci insegue tutti, imposto dalla natura e dalle attività antropiche, dalle umane necessità ed emergenze; la storia prosegue nel suo cammino, indifferente alle parole, riproponendosi per essere cambiata nei fatti e nella sostanza, offrendo nuove opportunità ma potrà farlo solo quando capiremo che non esistono nazioni, paesi, confini tracciati sulla carta, razze e colori della pelle a dividerci, bensì che ogni persona è una, un individuo e come tale nasce, vive, muore, lasciando in eredità il suo ricordo e la sua motivazione.