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Sclerosi Multipla, ecco come la Risonanza Magnetica fotografa il sistema nervoso centrale

Oggi la risonanza magnetica ha un ruolo fondamentale per la diagnosi di sclerosi multipla. Nel tempo gli altri esami, come quello del liquor e i potenziali evocati, pur avendo comunque una utilità, sono divenuti secondari rispetto all’importanza di ‘vedere’ le lesioni attraverso questa esame. Proviamo dunque a capire come questo esame, non invasivo e oggi molto diffuso nelle strutture ospedaliere, possa essere utile alla diagnosi. La risonanza magnetica è una tecnologia che può essere impiegata in diversi modi, attraverso la manipolazione degli impulsi di radiofrequenze e l’utilizzo o meno di determinati mezzi di contrasto.

L’esame si basa sul fatto che nei tessuti umani vi è una grande presenza d’acqua, e questo vale anche per il cervello e il midollo spinale sedi delle lesioni della SM - e che questo elemento, sottoposto a determinate radiofrequenze, modifica il modo in cui sono orientanti i suoi atomi di idrogeno. La risonanza magnetica, come fa intuire il nome, è come un grande magnete, una calamita, che agisce sulle particelle d’acqua, cioè rende possibile ‘visualizzarle’ e anche capire dove possono esserci delle alterazioni.

Nella SM, ad esempio, si andranno a visualizzare cervello e midollo spinale, cioè il sistema nervoso centrale e grazie alla risonanza sarà possibile capire dove ci sono lesioni proprio perché in questi il contenuto di acqua è superiore alla norma. Per la diagnosi della Sclerosi Multipla si adottano generalmente tre tipi di immagini: le immagini pesate in T1, in T2 e in densità protonica. Ciascuna scansione fornisce informazioni diverse che si completano l’una con l’altra dando al medico un quadro molto dettagliato circa la presenza, l’estensione e la distribuzione di eventuali lesioni a livello del sistema nervoso centrale, così dettagliato che oggi la risonanza magnetica è considerata il metodo d’elezione per fare una diagnosi di Sclerosi Multipla.
Vediamo brevemente in che cosa si differenziano le immagini nello studio dei pazienti con SM:

Le immagini pesate in T2 e densità protonica mettono in evidenza sia lesioni nuove che lesioni vecchie e sono per questo utili nel valutare il numero totale di lesioni e stabilire quello che viene detto "carico lesionale". E’ un quadro complessivo che rende possibile al neurologo controllare il decorso della malattia e se ci sono nuove lesioni

Le immagini pesate in T1 forniscono molte informazioni anatomiche cerebrali e sono particolarmente utili per individuare lesioni vecchie e le conseguenti cicatrici che appaiono come più scure rispetto al parenchima cerebrale circostante. Si tratta dei cosiddetti "buchi neri".
Quando viene utilizzato un mezzo di contrasto, nella maggior parte dei casi il Gadolino, attraverso le immagini T1 si può valutare il grado di attività di malattia. In questa immagini infatti le lesioni che captano il gadolino si mostrano più chiare delle altre e ciò indica che lì c’è un danno della barriera ematoencefalica e che la malattia è attiva. Il mezzo di contrasto viene iniettato al paziente per via endovenosa, è l’unica parte minimamente invasiva dell’esame di risonanza magnetica. Dai risultati di queste immagini un neurologo esperto può ricavare moltissime informazioni che gli permettono, unitamente all’osservazione clinica del paziente, di fare la diagnosi, ma non solo.
Saper leggere queste immagini significa anche capire se la malattia è già in atto da tempo o se è di esordio recente. Non c’è dunque da stupirsi se negli ultimi10 anni il mondo scientifico abbia riservato tanta attenzione alla risonanza magnetica, al punto di creare dei gruppi internazionali di esperti che nel tempo hanno messo a punto una serie di criteri che permettono di utilizzare in maniera sempre più corretta i risultati della RM per dare o escludere nella maniera quanto più precisa e veloce la diagnosi: i criteri di McDonald e le successive revisioni di Polman.

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