Resiste all' ndragheta, ma soccombe allo Stato
Antonino Di Masi, imprenditore nel mirino della malavita, annuncia la chiusura delle sue aziende: "Mi ha sconfitto lo Stato, non la n'drnagheta". Da sette anni aspetta l'accesso al "Fondo di solidarietà per le vittime di usura"
REGGIO CALABRIA - Una raffica, un'esplosione dietro l'altra. Uno, due, tre, quarantaquattro colpi di khalashnikov a trivellare i capannoni della sua De Masi s.p.a. E' la notte del tredici aprile e a colpire è la n'drangheta, con i metodi "classici" usati contro tutti quelli che non vogliono stare alle "regole". Qualsiasi imprenditore avrebbe lasciato, avrebbe fatto vincere la paura. E invece lui no. Antonino De Masi, il titolare della De Masi Costruzioni a Rizziconi, nella piana di Gioia Tauro, decide di andare avanti, ascolta la preghiera che arriva dalle istituzioni. Perché, "Lei non può mollare, lei non può fare questo. La chiusura delle aziende De Masi significherebbe una sconfitta dello Stato ed una vittoria dei criminali. Noi la proteggeremo in tutto, ma lei deve andare avanti".
E così, Nino mette da parte la paura, regala la "vittoria" allo Stato. Lo stesso Stato che, alla prima occasione si è dimenticato di lui, negandogli l'accesso al "Fondo di solidarietà per le vittime di racket e usura", nonostante le innumerevoli sentenze del Tar che danno ragione all'imprenditore. Motivo per cui, dal dieci luglio, la De Masi s.p.a. chiuderà i battenti lasciando per strada cento dipendenti, "quarantuno dello stabilimento di Gioia Tauro e sessanta di un'altra azienda".
A dare l'annuncio è lo stesso Antonino De Masi, che da quel tredice aprile vive sotto scorta, con una lettera rivolta all'intero mondo istituzionale, politico e associativo. Una lettera che ripercorre per intero le vicende di un uomo "sconfitto dallo Stato e non dalla n'drangheta".
"Lo spirito della legge, cosa che sembra non vogliate capire, non è quello di tirare alle lunghe l'iter burocratico attendendo che la vittima di usura muoia nella vana speranza di ottenere il riconoscimento dei propri diritti, ricordiamo che le domande sono state presentate nel 2006, - si legge nella lettera che l'imprenditore ha indirizzato a Elisabetta Belgiorno, commissario Antiracket - Al contrario l'interesse prevalente è quello di 'sostegno all'imprenditore vittima di usura', come stabilito dalla Sentenza Tar di Reggio Calabria nr. 27 del 12/01/11, facendo in modo che la stessa possa rientrare nell'economia legale"
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Chiudono le aziende De Masi di Gioia Tauro, Antonino: "Colpa dello Stato"
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"Quest'ennesima conferma delle nostre ragioni porta con sé l'evidenza di ulteriori aggravanti. In particolare - spiega De Masi - il trascorrere infruttuoso del tempo senza ottenere quanto nei nostri diritti ci ha portato a privarci di ogni bene personale e familiare e ha portato al collasso la situazione delle aziende". E, le condizioni sono destinate a peggiorare visto che l'imprenditore assicura che "per garantire i diritti dei lavoratori, metteremo in vendita quanto possibile per reperire le somme necessarie ad onorare gli impegni con i dipendenti".
Parlando cifre alla mano, la situazione diventa ancora più chiara in tutta la sua drammaticità. In una perizia, l'imprenditore "evidenzia la reale entità del danno subito a causa del reato commesso nei nostri confronti: Euro 45.766.879,30 per la De Masi Costruzioni Srl; Euro 42.767.019,68 per la Calfin SpA". Il che significa circa ottanta milioni di perdite.
Perdite che l'azienda non può più sopportate. Per questo chiediamo "un'immediata erogazione pari almeno al 50% del mutuo richiesto da effettuarsi entro il dieci luglio, con il saldo dell'importo da effettuarsi entro il 31 agosto". A cosa possano servire i fondi è facile da intuire. "L'erogazione dovrà avvenire a favore del soggetto giuridico richiedente, ma finalizzato esclusivamente, oltre che come prima detto al pagamento degli stipendi, alla costituzione di una Newco con l'acquisizione del ramo di azienda dalla esistente società, per consentire la ripartenza dell'attività imprenditoriale. Si evidenzia che tutto ciò è diretto solamente a cercare di sanare le conseguenze delle illegalità da Voi commesse".
"Se entro il dieci luglio non ci verranno accreditati i soldi che, ribadiamo, sono un nostro diritto, chiuderemo immediatamente le aziende per 'crimini di Stato'. E - conclude la lettera - informeremo tutti che noi abbiamo resistito ai colpi di kalashnikov della n'drangheta, ma ci siamo arresi ai crimini di Stato". Lo stesso Stato che gli aveva chiesto di resistere perchè altrimenti "sarebbe stata una sconfitta per il Paese". Ma, forse, sconfitta più grande di questa non poteva esserci.
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