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Comunicato Stampa

“Disabilità e povertà nelle famiglie italiane”: la ricerca di CBM Italia che indaga nel nostro Paese la condizione di disabilità e impoverimento economico e culturale

Bergamo, Abbazia di San Paolo d’Argon - 15 novembre 2024 L'incontro si inserisce tra gli eventi della Settimana dei Poveri

FotoBergamo, 15 novembre 2024 - Presentata oggi presso l’Abbazia di San Paolo d’Argon la ricerca “Disabilità e povertà nelle famiglie italiane”, condotta da CBM Italia - organizzazione internazionale impegnata nella salute, educazione, lavoro e diritti delle persone con disabilità in Italia e nel mondo - insieme alla Fondazione Emanuela Zancan Centro Studi e Ricerca sociale, che indaga nel nostro Paese il legame tra condizione di disabilità e impoverimento economico e culturale.
La ricerca, diffusa per la prima volta in occasione della Giornata Internazionale delle persone con disabilità del 3 dicembre 2023, nasce dall’impegno di CBM che da oltre 110 anni lavora nei Paesi del Sud del mondo per spezzare il circolo vizioso in cui povertà e disabilità si alimentano a vicenda. Lo fa attuando progetti di salute, educazione e vita indipendente, mettendo al centro le persone con disabilità e i loro diritti. Da qui l’idea di realizzare una ricerca per capire quale sia la portata del legame tra disabilità e povertà anche in Italia, e di metterla a disposizione di tutti coloro che si occupano di disabilità, come strumento utile per favorire la cultura dell’inclusione.

La presentazione - promossa da Caritas Diocesana e dall’Ufficio per la Pastorale delle Persone con Disabilità che fanno parte, insieme all’Ufficio Pastorale della Salute, della Terra Esistenziale “Prossimità e cura” della Diocesi di Bergamo - si colloca all’interno della Settimana dei Poveri, che nasce come “estensione” della Giornata Mondiale dei Poveri istituita da Papa Francesco nel 2017.
La ricerca vuole indagare il legame fra povertà e disabilità in Italia. I dati ci dicono che nel nostro Paese la povertà è in aumento e colpisce sempre più persone: una povertà che non è solo economica, ma è anche mancanza di servizi di salute, istruzione, opportunità e relazioni, in una parola: esclusione sociale. Sappiamo che alcune persone sono più a rischio di altre di essere escluse e lasciate indietro: le persone con disabilità e le loro famiglie sono tra queste.
Gli interventi all’evento: don Roberto Trussardi, direttore Caritas Diocesana di Bergamo, e Cristina Borlotti, direttore Ufficio per la Pastorale delle Persone con Disabilità. A seguire Lea Barzani, responsabile relazioni esterne CBM Italia, e Devis Geron, ricercatore di Fondazione Zancan, per la presentazione della ricerca; e con i commenti di Serenella Besio, delegato del Rettore alle Politiche su Disabilità e Diversità dell’Università degli Studi di Bergamo. Presente inoltre Laura Simontacchi del Coordinamento Bergamasco per l’Inclusione, per una testimonianza.

Il contesto della ricerca
Povertà e disabilità sono due concetti complessi ed entrambi possono portare a forme di esclusione sociale: la definizione di povertà include il disagio economico ma anche il disagio abitativo, lavorativo e la mancanza di istruzione, relazioni e opportunità; la disabilità è un fenomeno complesso perché riguarda non solo la persona in sé ma anche la sua interazione con l’ambiente sociale.
In letteratura viene riconosciuto che le persone con disabilità presentano un maggiore rischio di povertà o esclusione sociale. In Italia al momento mancano però indagini strutturate in merito. Il rapporto Istat sulla disabilità del 2019 elenca i motivi per cui la disabilità ha ricadute economiche sulle famiglie, come per esempio l’aumento delle spese e la difficoltà a mantenere il lavoro; a livello europeo l’indagine Eurostat relativa al 2022 evidenzia come anche in Italia il 32,5% delle persone con disabilità sono a rischio povertà più delle persone senza disabilità (22,9%).

La metodologia e il campione della ricerca
La necessità di approfondire il fenomeno ha portato CBM Italia ad avviare lo studio con la Fondazione Zancan scegliendo una metodologia che si basa sia su dati quantitativi raccolti attraverso un questionario sia su informazioni qualitative emerse da testimonianze raccolte con interviste.

Il questionario ha rilevato il profilo sociodemografico della persona con disabilità e dei familiari conviventi, le condizioni di disabilità della persona, i principali interventi e servizi di cui la persona beneficia e quelli di cui avrebbe bisogno ma sono assenti o inadeguati nel contesto di riferimento, la condizione economica della famiglia, le reti su cui può contare e gli aiuti forniti verso l’esterno. L’approfondimento qualitativo ha indagato i principali bisogni della persona con disabilità e del nucleo familiare, la capacità del sistema di aiuti esistente di fronteggiare questi bisogni, la vulnerabilità socioeconomica, le risorse e le capacità considerate anche come possibile attivazione verso gli altri.

Il campione della ricerca – costruito con il prezioso aiuto di numerosi enti e associazioni che hanno permesso di entrare in contatto con famiglie in tutta Italia – è costituito da 272 persone a cui è stato sottoposto un questionario, di cui 57 coinvolte anche nelle interviste qualitative.
Sono persone che vivono in famiglia, residenti in tutta Italia, 9 su 10 con cittadinanza italiana, di età compresa tra 14 e 55 anni, in una situazione di disagio socioeconomico. Dal punto di vista dell’istruzione, il 45% è in possesso di licenza media superiore.
In riferimento alla disabilità, 9 su 10 hanno ottenuto il riconoscimento della condizione di invalidità civile; il 45% fa parte di un’associazione che le supporta.
In riferimento alla situazione economica, in quasi 9 casi su 10 le famiglie intervistate vivono un disagio economico soggettivo cioè riconoscono di arrivare a fine mese con difficoltà. Dal punto di vista oggettivo: il 62% non è in grado di affrontare una spesa imprevista di 500 euro; 2 su 3 non possono permettersi una settimana di vacanza l’anno; più di 4 su 10 si sono trovati in arretrato con il pagamento delle bollette; 1 su 5 ha avuto difficoltà a comprare il cibo necessario al sostentamento della famiglia; quasi 1 su 3 non ha avuto soldi nell’ultimo anno per spese mediche (visite e medicinali). Le quote si aggravano se la persona vive nel sud del Paese, i genitori sono giovani, il livello educativo è basso, non fanno parte di associazioni a sostegno della disabilità.

Le evidenze maggiori della ricerca: la richiesta di servizi più “umanizzati” per uscire dall’isolamento
Le famiglie coinvolte nello studio percepiscono e vivono in una condizione di isolamento: una su 6 non riceve alcun supporto dalle istituzioni e una su 4 non può contare su una rete informale fatta di amici, parenti non conviventi o volontari.
Basti pensare che oltre il 70% è privo di rete amicale di supporto (materiale e immateriale) e il 55% non partecipa ad associazioni di supporto alla disabilità, quote che aumentano dove si registra un basso livello educativo. L’isolamento deriva infatti anche dalla scarsa conoscenza delle opportunità esistenti e dalla poca consapevolezza dei propri diritti.
Alle reti informali deboli si somma la permanenza del “muro” rappresentato dalle istituzioni, dalle quali le persone vorrebbero maggiore supporto, e quello del contesto socio-ambientale, dov’è ancora radicato lo stigma legato alla disabilità. È da qui che emerge la necessità di rafforzare la cultura dell’inclusione e di diffondere una maggiore consapevolezza sui diritti per abbattere tutti i muri (relazionali, istituzionali e di contesto).

Dai dati quantitativi e qualitativi è emerso come le famiglie facciano fatica ad arrivare a fine mese. Eppure tra gli aiuti richiesti, 9 su 10 non sono contributi economici bensì servizi rivolti sia alle persone con disabilità sia ai familiari, che siano in grado di promuovere interventi “umanizzati” e quindi più efficaci per mettere al centro la persona con disabilità, accompagnarla nelle sue esigenze e promuovere le risorse e le capacità. In sintesi, per una presa in carico globale.
Le maggiori richieste riguardano gli ambiti dell’assistenza sociosanitaria (39%) e sociale (37%), aiuti nella mobilità (25%). E il 23% chiede più opportunità ricreative e di socializzazione.
Più del 70% dichiara di percepire già dallo Stato almeno una prestazione monetaria legata alla sua condizione di disabilità. Gli interventi sociali e sociosanitari sono invece affidati alle istituzioni territoriali: il 44% ha frequentato un centro diurno nell’ultimo anno; il 21% ha ricevuto, da parte del Comune o di soggetti privati convenzionati, prestazioni di aiuto e assistenza a domicilio; l’11% ha beneficiato di prestazioni sanitarie gratuite a domicilio da parte dell’azienda sanitaria (soprattutto se giovani e con disabilità fisiche).

Le famiglie stesse, nonostante le difficoltà del convivere con disabilità e povertà, hanno la capacità di offrire forme di sostegno agli altri: il 34% offre compagnia e conforto morale alla rete informale di riferimento.
Da questo quadro emergono le capacità delle famiglie utili per se stesse e per gli altri, che, se valorizzate, possono rafforzare le opportunità di inclusione sociale e ridurre lo stigma ancora associato alla condizione di disabilità.
L’inclusione sociale si realizza anche attraverso quella lavorativa. Questo è un aspetto emerso dallo studio, che evidenzia come il disagio lavorativo riguardi in particolare le persone che vivono al sud e nei contesti più svantaggiati dal punto di vista socioculturale. Il 38% è inabile al lavoro (quota che sale a 46% al sud) e il 27% è disoccupato; il 34% (21% al sud) ha ottenuto l’accertamento della disabilità per il collocamento mirato, ma il 51% non ha mai presentato la domanda (percentuale che sale al 65% al sud e al 60% tra chi vive in famiglie con basso livello educativo).
Poco più di una persona su 5 chiede in modo esplicito maggiori opportunità lavorative e formative sia per sé che per i propri familiari. Il carico di cura è considerato un ostacolo all’occupazione, con pesanti ricadute sul piano economico della famiglia, per questo è necessario favorire politiche di sostegno alla conciliazione tra i tempi lavorativi e di cura.
Investire nell’inclusione sociale e in quella lavorativa riporta alla questione del “durante e dopo di noi” che emerge in maniera significativa soprattutto dagli approfondimenti qualitativi: diverse famiglie hanno espresso preoccupazioni sul futuro dopo che genitori, fratelli e sorelle non saranno più in grado di prendersi cura della persona con disabilità. Un problema che preoccupa ancora di più le famiglie che vivono in condizioni di disagio socioeconomico e culturale, perché la questione non si limita a individuare la soluzione abitativa ma costituisce un processo da costruire nel tempo, dando modo alla persona con disabilità di fare esperienze per acquisire le autonomie necessarie per vivere fuori dalla famiglia.

I commenti
Massimo Maggio, direttore Generale di CBM Italia: «Da anni parliamo di quanto debba essere sostenuto e alimentato il protagonismo delle persone con disabilità. Il risultato della nostra ricerca va ancora in questa direzione: le famiglie che abbiamo ascoltato ci confermano che il disagio sociale e culturale è più opprimente di quello economico. I servizi umanizzati che vengono richiesti devono entrare nel progetto di vita delle persone, per questo dobbiamo pensarli partendo dal riconoscere le risorse ed evidenziare il valore delle famiglie, per ridurre lo stigma e creare opportunità di inclusione. Per affrontare e favorire il “durante e dopo di noi” affinché diventi “con noi”».

Don Roberto Trussardi, direttore Caritas Diocesana di Bergamo, e Cristina Borlotti, direttore Ufficio per la Pastorale delle Persone con Disabilità: «La giornata e la settimana del povero sono un appuntamento importante per ogni comunità ecclesiale. È un’opportunità pastorale da non sottovalutare perché provoca ogni credente ad ascoltare la preghiera del povero, dove la povertà ha un ampio significato, non solo economico ma anche relazionale. Le persone con disabilità affrontano sfide materiali legate all’accesso a risorse economiche, ma si trovano anche ad essere vulnerabili alla solitudine, all'isolamento e alla difficoltà di creare e mantenere relazioni significative. La povertà relazionale non è semplicemente la mancanza di risorse affettive, ma una carenza di opportunità di interazione, inclusione e partecipazione sociale. Le persone con disabilità, soprattutto in contesti in cui le barriere fisiche, culturali e sociali sono marcate, rischiano di essere emarginate non solo nei luoghi di lavoro, ma anche nelle dinamiche sociali quotidiane: difficoltà di comunicazione, mancanza di accessibilità, stereotipi e pregiudizi contribuiscono ad escluderle da reti di sostegno sociale. Questo isolamento può diventare una vera e propria “povertà” delle relazioni, che rende ancora più difficile per loro sviluppare un senso di appartenenza, di comunità e di affetto».

Serenella Besio, Delegato del Rettore alle Politiche su Disabilità e Diversità - Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, Università degli Studi di Bergamo: «L’autorevole e ricchissimo Rapporto “Disabilità e povertà nelle famiglie italiane”" appare come uno spaccato drammatico e palpitante della vita contemporanea di una parte di noi, o forse (o invece) di tutti noi. Le risorse economiche allocate e disponibili nel sistema di welfare hanno un ruolo cruciale nel determinare la qualità di vita delle persone in senso esteso, completo e lungo il corso della vita. Quest'ultimo punto, tuttavia, richiede uno sforzo interpretativo, per evitare il rischio di cadere nell'ovvio, abbandonando la tentazione di considerare la disabilità come condizione di minorità, di bisogno, di passività. I sistemi di welfare e gli investimenti economico-finanziari, infatti, non dovrebbero essere letti esclusivamente alla luce dell’aiuto in tutte le sue forme, quanto piuttosto analizzati nelle tipologie e modalità delle forme di supporto erogate, nelle finalità delle progettualità che sostengono o garantiscono, nelle delineazioni e pianificazioni politiche delle risorse, dei servizi, delle strutture e delle procedure. È la qualità di queste scelte a garantire la qualità di vita delle persone; e, naturalmente, la qualità degli interventi realizzati dipende anche dalla quantità di risorse allocate. Dovrebbero cioè pensare in partenza all'individuo autodeterminato (e alla sua famiglia)».

Laura Simontacchi, mamma del Coordinamento Bergamasco per l'Inclusione: «La difficoltà maggiore per le persone con disabilità e i loro caregiver è data da una società non abilitante, istituzioni latitanti e mancanza di servizi integrati. Questo crea povertà in molti ambiti, che solo l’associazionismo e il volontariato riescono in parte a mitigare. Ma la fatica, il senso di abbandono e la solitudine pesano. Un sistema di servizi più vicino ai cittadini, che metta la persona al centro, potrebbe ridurre in modo significativo le difficoltà che creano povertà in ambito non solo economico, ma soprattutto in termini di salute, istruzione, relazioni e opportunità».

La ricerca “Disabilità e povertà nelle famiglie italiane” di CBM Italia e Fondazione Zancan è disponibile sia nella versione completa sia in un abstract al seguente link: https://www.cbmitalia.org/ricerca-cbm-zancan/

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