Depressione post partum, convegno al niguarda
Un convegno internazionale per discutere sulle più efficaci strategie per prevenire e curare una patologia che colpisce il 13 per cento delle neo mamme
Si terrà giovedì 10 marzo, all’ospedale Niguarda Cà Granda di Milano, un convegno internazionale sulla prevenzione e la cura della “depressione post partum”, con un’attenzione particolare alle donne immigrate.
All’appuntamento, organizzato da Mariano Bassi, che dirige la Struttura Complessa di Psichiatria dell’Ospedale Niguarda, interverranno prestigiosi relatori internazionali che affronteranno il tema della prevenzione e della cura della depressione, sia durante la gravidanza che nel periodo successivo al parto. Verranno inoltre presentate numerose ricerche e le attività di prevenzione e cura più innovative presenti oggi in Lombardia.
La vulnerabilità psicologica della donna durante il periodo puerperale si traduce sovente in quella complessa espressione di disagio psicologico e somatico, che viene definita come “depressione”, un termine con cui si identifica una sintomatologia che comprende quadri clinici ed emozionali molto differenti tra loro per caratteristiche, gravità e durata.
La depressione può presentarsi con disturbi lievi, di carattere fisiologico, noti come “Baby Blues” o “Maternity Blues” che possono colpire fino al 85% delle neomamme, ma che hanno una remissione naturale.
Il “Baby Blues” è caratterizzato da sbalzi o labilità d’umore con facile tendenza a pianto, tristezza, ansia e mancanza di concentrazione. Insorge nella prima settimana dopo il parto e tende a scomparire nel giro di pochissimi giorni, essendo principalmente legato alle grandi variazioni ormonali di quel periodo del puerperio.
La vera e propria depressione post-partum è invece un problema complesso che si stima colpisca il 13% delle madri. Insorge nei primi tre mesi dopo il parto ed è caratterizzata da umore depresso, perdita di interesse nelle attività che abitualmente danno piacere, inclusa la cura del piccolo, difficoltà di concentrazione o nel prendere decisioni, astenia, modificazioni dell’appetito o del sonno, sentimenti di inadeguatezza (in particolare come madre nei confronti del bambino), sensi di colpa e ansia eccessiva nei confronti della salute del nuovo nato. Nei casi più gravi si possono manifestare ricorrenti pensieri di morte e idee di suicidio,
Per quanto riguarda la causa della depressione post-partum, diversi studi hanno identificato l’importanza di alcuni fattori di rischio come ansia e depressione durante la gravidanza, stress relativo alla cura del bambino e stress dovuto ad eventi di vita intercorrenti, mancanza di supporto familiare e sociale, insoddisfazione e conflittualità matrimoniale e intrafamiliare, precedente storia di depressione, bassa auto-stima, gravidanza non voluta.
Spesso gli episodi depressivi duranten la gravidanza e il puerperio non vengono diagnosticati, perché il comportamento della madre non mostra “anomalie” significative. L’identificazione dei fattori di rischio e della depressione puerperale risulta ancora più difficile nelle donne straniere, soprattutto se di recente immigrazione. Alcuni ricercatori in questo campo mettono in guardia gli psichiatri e gli psicologi dei paesi occidentali avanzati dall’utilizzo di strumenti diagnostici di tipo occidentale, rispetto alla valutazione dello stato di salute mentale di donne con culture non-occidentali, e mostrano come la stessa espressione della depressione puerperale differisca nella sintomatologia tra culture differenti. È stato inoltre dimostrato come la somatizzazione risulti essere una delle modalità prevalenti di espressione della depressione tra le donne ispaniche, africane e asiatiche. In questi casi si rileva una vera e propria espressione di sofferenza fisica, che può tradursi in cefalea, perdita dell’appetito, nausea, vomito, disturbi dell’equilibrio, astenia. Per le donne occidentali, invece, la sofferenza invade la sfera psicologica, esprimendosi soprattutto attraverso sentimenti di colpa e di tristezza.
«In una società come la nostra, in cui negli ultimi venti anni la presenza di immigrati è passata da 320.000 persone (1981)a 4 milioni e 300 mila (2010) e il tasso di natalità è ormai sostenuto soprattutto dalle donne straniere, il tema degli aspetti transculturali non può non essere sentito, anche per quanto riguarda la depressione in gravidanza e nel periodo post partum» osserva Bassi. «Le donne immigrate, soprattutto quelle di recente immigrazione, infatti, sono più esposte alla depressione, perché presentano maggiori fattori di rischio. Tra questi, lo stress derivante dal processo di acculturazione, la mancanza di un supporto sociale, conseguenza sia delle difficoltà linguistiche e culturali per le quali non riescono ad accedere ai servizi sanitari e sociali per avere sostegno, sia della lontananza dalla famiglia d’origine. Nelle culture nord africana e sud americana, in particolare, la famiglia allargata, soprattutto nella sua componente femminile, rappresenta un punto di riferimento fondamentale, sia durante sia dopo il parto. Infine a pesare è anche la condizione di precarietà economica e abitativa in cui si trovano a vivere queste famiglie di recente immigrazione» continua il professore. A questi poi si aggiungono altri fattori di rischio, comuni anche alle donne italiane, legati alle variazioni ormonali e alla nuova immagine di sé che la donna deve creare, non più figlia, ma madre.