Finalmente tutta la storia di Arezzo in solo 200 pagine leggere come un articolo di giornale
Intervista allo storico Luca Tognaccini, autore per Feltrinelli della trilogia divulgativa: “Piccola Storia di Arezzo”, “Arezzo dalla fondazione alla globalizzazione”,“Arezzo dalle origini ai giorni nostri”.
Perché scrivere una storia di Arezzo dalle origini ad oggi? Diciamo che il mio sogno sarebbe stato quello di raccontare tutta la storia di Firenze, città dove sono nato e cresciuto e dove ho fatto l’Università. Però, essendo figlio di due provinciali aretini, non mi sono mai reso conto di quanto conservassi della patria d’origine sino a quando sono tornato a risiedervi nel 2008. Da allora ho potuto vedere meglio Firenze dall’esterno, ma anche Arezzo mi è apparsa in modo diverso rispetto a chi ci è nato e cresciuto. Quindi ho deciso di mettere a frutto questa ottica privilegiata di appartenenza meticcia. Il fatto che io sia un aretino nato a Firenze, mi permette, ora che sono rientrato alla base, uno sguardo distaccato ma partecipe alle sorti della mia patria di origine familiare, che rivelo agli Aretini nei suoi pregi e difetti, che spesso sfuggono a chi ci abita. I Fiorentini: un popolo amico degli Aretini, visti da loro alla guida del Prinz Nsu bianco –che poi diventerà la Panda verde- col cappello in testa; aretini oggetto di barzellette buone, come quelle sui carabinieri. Noi Aretini siamo visti benevolmente come sanamente grezzi ma onesti, persone serie, all’antica insomma
Ma lei è più aretino o fiorentino? Facciamo cinquanta e cinquanta. Diciamo che io sono come Pupo che canta Canzone Amaranto ma anche Firenze Santa Maria Novella, le antiche rivalità sono state superate dallo sviluppo comune nell’ambito più vasto dello stato nazionale. L’onestà e la tenacia degli Aretini sono note nel capoluogo sin dai tempi dell’ultima migrazione nel Dopoguerra. Anche mia madre, Anna Maria Nocentini, prese la via di Firenze per sfuggire alla miseria, entrando a servizio della grande famiglia degli argentieri Pampaloni, aretini importanti in Firenze. Mia madre poi troverà lavoro all’ospedale psichiatrico di San Salvi, seguendo le orme della zia aretina Ottorina Calvani (altro cognome aretino, inurbatasi già negli anni ’30 sposando un Gelli fiorentino), svolgendo un servizio di aiuto alla persona difficile, che i fiorentini iniziavano a snobbare. Entrata in punta dei piedi nella grande città dominante, sposerà un altro aretino emigrato dalle miniere di lignite di Cavriglia e cuoco a San Salvi, mio padre Lido. Tornata a casa ad Indicatore negli ultimi anni, ricorderà sempre con orgoglio gli insegnamenti della metropoli da cui ha ricevuto tanto. Una storia destinata a proseguire quella degli aretini che si sposano fra di loro perché io, nato e cresciuto a Firenze, sposerò Paola Tosi inurbata da Badia Prataglia e commessa alla Gina Lebole di Ponte a Greve, Firenze ovest. Ma lasciamo la mia piccola storia familiare (non sono bravo a raccontarla come fa la Fallaci e quindi sorvolo, anche se ho frequentato la sua stessa università) e torniamo all’oro di Arezzo.
Come sono gli Aretini oggi? Tenaci lavoratori, persone affidabili e serie, mi appaiono velleitari quando si propongono di conquistare Roma, di governare la Città come se non esistessero che le vecchie rivalità con Firenze e Siena e Perugia; come se fosse possibile chiudere fuori dal proprio giardino quel vasto mondo che adesso rende difficile essere “padroni in casa propria”. Per il resto, vivendo a Coverciano, il primo quartiere di periferia in cui entra via aretina che all’uscita di Porta San Lorentino si chiama via fiorentina, si vede come gli Aretini si siano conquistati posti di responsabilità nell’artigianato, nel commercio. Anche il mio condominio era amministrato da un aretino, il ragionier Liberatori, che aveva il suo daffare per mettere tutti d’accordo, ma si sa, i Fiorentini usano la lingua come la spada e sono così capaci di grandi amicizie come di odi implacabili, quindi un aretino come mediatore ci sta bene. La colonia degli aretini a Firenze è ancora oggi molto apprezzata per i posti di responsabilità che si è saputa conquistare. Fra di loro sussiste sempre un mutuo aiuto fraterno che li contraddistingue quasi come una lobby, con personaggi anche importanti, come Bruna Marri Camerani, che ho avuto la fortuna di conoscere alla Società Toscana per la Storia del Risorgimento.
Come definirebbe il suo libro su Arezzo? Esistono tante storie di Arezzo, oramai, in circolazione; alcune fatte molto meglio di questa. Ma questa è l’unica che parla ai non addetti ai lavori, agli studenti, ai non laureati; e lo fa con un linguaggio semplice e piano, come quello di un radiogiornale nazional-popolare dallo stile leggero giornalistico -sono un giornalista pubblicista- ma anche dai contenuti rigorosamente esatti, divulgativo ma essenziale. Sono anche un professore di Lettere al Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II. Diciamocela tutta: si tratta di bassa divulgazione giornalistica, uno “sporco lavoro” che qualcuno doveva pur fare per spiegare ai giovani infarciti di immaginifico linguaggio televisivo alcuni personaggi e fatti più importanti del loro passato, attualizzandoli ed intrattenendo con un raccontino semplice, ricco di colpi di scena, ma esatto.
Chi sono i personaggi più importanti della sua storia? Tanti. Ma non mi soffermo su di loro facendo dei medaglioni, bensì paragonandoli agli attori della nostra cronaca contemporanea. Così il corpo scomparso del vescovo Tarlati è come quello di Bin Laden, fatto sparire per non alimentare, con la sua venerazione, la resistenza. I bombardamenti alleati portano distruzione e morte come le invasioni barbariche. La soggezione a Firenze è quasi come quella dell’Italia di oggi verso la finanza d’oltreoceano che non fa battere moneta. Senza tralasciare incursioni nella fantaarcheologia dove Arrenzio è il primo Etrusco che traccia il solco dei confini della città di Arezzo, mentre la ninfa Arnezia (poi Arezia) dà il nome al fiume che la attraversa. Questa storia è poi l’unica che arrivi sino ai nostri giorni, provando anche a prevedere il futuro non come Nostradamus, bensì sbirciando le linee di continuità con il passato, da storico, senza entrare nel campo della politica. Si nota comunque una simpatia per l’ideale guelfo sublimato, secondo me pienamente incarnato da Amintore Fanfani e dal miracolo economico della Terza Italia, durante i mitici anni Ottanta ed alla fine della gloriosa Prima Repubblica.
A chi consiglia la lettura del suo libro? Nato per la scuola, il mio libercolo si presta anche a fornire i dati base per un veloce ripasso -più di 3mila anni di storia in solo 200 pagine- a chi frequenta l’Università. E prova anche a fare la voce grossa, riperiodizzando la solita storia col senno di poi di noi spaesati postmoderni.
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