Anche gli animali si curano con le erbe
Non siamo l’unica specie vivente che assume farmaci volontariamente. Lo fanno anche diversi primati non umani.
L’utilizzo di erbe per la salute animale è una pratica tradizionale consolidata, che trova sempre più riscontro anche nella letteratura scientifica. Gli agricoltori del Mediterraneo utilizzavano tradizionalmente piante di provenienza locale, ma anche rimedi di origine animale e minerale, per curare i loro animali. Nell’economia rurale ci si rivolge ancora molto spesso al mondo vegetale per curare soprattutto le affezioni dell’apparato digerente (proprietà digestive, antidiarroiche o lassative di alcune piante), quindi di quello cutaneo (ferite); vengono trattate anche affezioni dell’apparato respiratorio e di quello riproduttivo, per lo più in relazione con il parto.
Le manifestazioni di “autocura” tra gli animali – ad esempio, oranghi e altri primati in Asia e Africa che si strofinano il corpo con succhi di piante medicinali per ridurre i dolori o ingeriscono erbe specifiche contro le parassitosi – sono piuttosto frequenti, ma restano difficili da documentare a causa della loro estrema imprevedibilità.
Secondo gli esperti di zoofarmacognosia (l'arte animale delle cure fai-da-te) alcune delle sostanze usate dai cugini primati potrebbero rivelarsi utili anche all'uomo. Un intero filone di ricerca indaga le proprietà antimicrobiche delle piante utilizzate dalle scimmie per stare meglio: in fondo, solo una piccola percentuale delle piante delle foreste tropicali è stata studiata a scopo farmacologico. Delle altre, si sa ancora poco.
Per questo assume tratti straordinari quanto riportato in un recente articolo di Scientific Reports (Laumer et al. 2024), rivista collegata al prestigioso Nature, con cui i biologi dell’Istituto tedesco per il comportamento animale Max Planck e dell’Universitas Nasional indonesiana hanno documentato il caso di un maschio di orango di Sumatra che si è trattato in “autocura” una ferita importante sul viso con una liana locale.
Le osservazioni di ricerca sono state condotte nell'area di Suaq Balimbing all'interno del Parco Nazionale Gunung Leuser, nel sud di Aceh, in Indonesia. Il soggetto di questo studio (1), un orangutan maschio di Sumatra di nome Rakus, è stato osservato per la prima volta nel marzo 2009 come maschio adulto senza flange ma senza caratteristiche sessuali secondarie e si ritiene che sia nato alla fine degli anni '80.
La raccolta dei dati ha coinvolto fasi focali durante tutta la giornata, iniziando quando un orangutan lasciava il suo nido notturno e continuando fino alla costruzione di uno nuovo la sera. Le osservazioni venivano registrate ogni due minuti utilizzando protocolli standardizzati, annotando attentamente tutti i comportamenti rari. Rakus è stato un soggetto focale per diversi giorni quando è stata notata per la prima volta una nuova ferita e successivamente quando ha curato questa ferita il 25 giugno 2022. Sfortunatamente non esistono registrazioni visive del trattamento della ferita, ma è stato documentato un resoconto dettagliato.
Tutta la ricerca rispettava gli standard etici, era rigorosamente osservativa e rispettava i requisiti legali ed etici stabiliti dal Ministero indonesiano della ricerca e della tecnologia.
Il 22 giugno 2022, il gruppo di ricerca ha osservato Rakus con una nuova ferita sul bordo destro e all'interno della bocca. Si sospetta che la ferita sia il risultato di uno scontro con un altro maschio flangiato, poiché c'erano prove evidenti di un simile incontro quel giorno. Tre giorni dopo, il 25 giugno, Rakus fu visto consumare il gambo e le foglie della liana (Fibraurea tinctoria), conosciuta localmente come "Akar Kuning". Sebbene questa pianta faccia parte della dieta regolare degli oranghi della zona, viene mangiata raramente e rappresenta solo lo 0,3% di tutte le osservazioni sull'alimentazione. Tuttavia, i dati mostrano che 47 dei 132 oranghi studiati sono stati visti consumare parti di questa pianta. Durante questa specifica osservazione, Rakus iniziò a masticare le foglie senza deglutire, utilizzando le dita per estrarre e applicare il succo direttamente sulla ferita del viso. Questa applicazione è stata ripetuta metodicamente per sette minuti.
Poco dopo, le mosche iniziarono ad accumularsi sul sito della ferita, spingendo Rakus a coprire accuratamente l'area con la polpa della pianta masticata, mascherando la carne rossa con materiale fogliare verde. Ha continuato questo trattamento per un totale di 34 minuti. Il giorno seguente Rakus riprese brevemente a mangiare la liana per circa due minuti. Le successive osservazioni non mostrarono segni di infezione ed entro il 30 giugno la ferita si era visibilmente chiusa. Entro il 19 luglio era completamente guarito, lasciando solo una debole cicatrice.
Inoltre, è stato notato un aumento del riposo da parte di Rakus dopo l'infortunio, il che potrebbe contribuire positivamente al suo processo di guarigione. Il rilascio dell’ormone della crescita, la sintesi proteica e la divisione cellulare, fondamentali per la guarigione, vengono migliorati durante il riposo. I dati raccolti hanno mostrato che il tempo di riposo di Rakus è aumentato significativamente dopo l'infortunio, da una media del 14,8% della sua giornata al 33%, per poi stabilizzarsi al 23,6% una volta guarita la ferita. Questo cambiamento è stato particolarmente evidente subito dopo il trattamento della ferita, con tempi di riposo superiori al 50% per diversi giorni. Questo adattamento comportamentale probabilmente ha avuto un ruolo nel suo recupero rapido ed efficace.
Presente nelle foreste tropicali del sud-est asiatico, la liana Fibraurea tinctoria è nota per i suoi effetti analgesici, antipiretici e diuretici ed è utilizzata in medicina tradizionale per trattare diverse condizioni di salute.
Studi di laboratorio hanno chiarito che tra i suoi componenti ci sono furanoditerpenoidi e alcaloidi come la protoberberina, dei quali sono note le attività antibatteriche, antinfiammatorie, antifungine, antiossidanti e favorenti la rimarginazione delle ferite. Inoltre, poiché appare chiaro che Rakus abbia curato intenzionalmente la ferita, l’ipotesi avanzata dai ricercatori è che il suo comportamento abbia avuto origine in una pratica comune condivisa da umani e primati. Si tratta, in ogni caso, di una testimonianza straordinaria che ha documentato – per la prima volta in modo sistematico con gli strumenti del report scientifico – il trattamento di una ferita con una specie vegetale contenente fitosostanze attive da parte di un animale. Un caso che al di là della inevitabile “spettacolarizzazione” mediatica conferma, qualora ce ne fosse ancora bisogno, quanto siano forti e interconnesse le relazioni tra noi umani e le altre specie viventi, come magistralmente sintetizza la visione “One Health”.
UN NUOVO STUDIO CONFERMA CHE RAKUS NON È SOLO: "Gli scimpanzé selvatici mangiano piante medicinali per guarire malattie o ferite", assicurano su 'Plos One' Elodie Freymann e colleghi dell'università di Oxford nel Regno Unito. E sanno il fatto loro, perché "cercano piante specifiche in base al disturbo di cui soffrono".
Gli autori dello studio hanno monitorato il comportamento di 51 scimpanzé comuni (Pan troglodytes) di due comunità della Budongo Central Forest Reserve in Uganda. Hanno inoltre raccolto estratti di 13 specie vegetali che immaginavano gli scimpanzé potessero utilizzare per automedicarsi, testandone le virtù antinfiammatorie e antibiotiche. Si trattava di erbe e piante che normalmente non rientrano nella dieta di questi animali, ma che erano state attenzionate da lavori precedenti perché alcuni scimpanzé malati o feriti le avevano consumate o che si ipotizzava potessero assumere proprio a scopo terapeutico.
Gli scienziati hanno così scoperto che l'88% degli estratti vegetali analizzati inibiva la crescita batterica e il 33% aveva proprietà antinfiammatorie. Il legno morto di un albero della famiglia Dogbane (Alstonia boonei) ha mostrato l'attività antibiotica più forte nonché proprietà antinfiammatorie, a significare che potrebbe essere usato per curare le ferite.
Per la corteccia e la resina di un mogano dell'Africa orientale (Khaya anthotheca) e le foglie di una felce (Christella parasitica) sono stati osservati potenti effetti antinfiammatori. Uno scimpanzé maschio con una mano ferita è stato visto cercare e mangiare foglie di felce, probabilmente per ridurre il dolore e il gonfiore. Mentre un altro colpito da un'infezione parassitaria consumava la corteccia di una pianta spinosa (Scutia myrtina). Insomma, "i risultati - sentenziano gli autori - suggeriscono che gli scimpanzé cercano piante specifiche per i loro effetti medicinali".
"Lo studio è uno dei primi a fornire prove sia comportamentali sia farmacologiche dei benefici medicinali che derivano agli scimpanzé selvatici dal nutrirsi di corteccia e legno morto", sottolineano gli scienziati.
Secondo i ricercatori, "le piante medicinali che crescono nella Riserva forestale di Budongo potrebbero anche essere utili allo sviluppo di nuovi farmaci per affrontare le sfide dei batteri resistenti agli antibiotici e delle malattie infiammatorie croniche".
"In questo articolo - chiosano gli autori - dimostriamo come osservare e imparare dai nostri 'cugini' primati possa accelerare la scoperta di nuove terapie", anche contro i superbatteri, "evidenziando al contempo l'importanza di proteggere le foreste che sono le nostre 'farmacie verdi'".
FONTI:
1. Autotrattamento attivo di una ferita al viso con una pianta biologicamente attiva da parte di un orango di Sumatra maschio (https://www.nature.com/articles/s41598-024-58988-)
2. Traditional knowledge about plant, animal, and mineral-based remedies to treat cattle, pigs, horses, and other domestic animals inthe Mediterranean island of Sardinia. Simonetta Bullitta et al. Journal of Ethnobiology and Ethnomedicine (2018) 14:50.
3. 7https://www.lerborista.it/2024/06/04/anche-gli-oranghi-si-curano-con-le-erbe/
4. https://www.today.it/animali/orango-selvatico-sumatra-in-grado-di-curarsi.html
5. https://www.lastampa.it/la-zampa/2024/06/21/news/scimpanze_malati_si_curano_piante-423264822/
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