Teatro, Drammaterapia e Creative Drama & In-Out Theatre al servizio dell'Io
La Nevrosi della cultura e quella dell'individuo dialogano costantemente con creazioni collusive, spesso senza che l'individuo ne abbia coscienza e capacità di autodeterminazione. La riflessione delle scienze umanistiche può aiutare alla riappropriazione di queste capacità. Il fondatore del Creative Drama & In-Out Theatre traccia alcune salienti distinzioni tra i modelli di funzionamento teatrali e quelli della drammaterapia a partire da alcuni disagi del collettivo contemporaneo
Le nevrosi degli individuo partecipano la nevrosi della cultura nei termini in cui essa è frutto dei meccanismi di difesa (ed i loro prodotti) dell'individuo da sempre, dalla nascita della sua individualità autocosciente in mezzo al gruppo. Attenti a rifuggire da ogni retorica, schivi ad ogni giudiziosi di bene/male, si po’ genericamente affermare che dopo la nascita della stampa (si dice pronta a morire nel 2027, afferma il guru della comunicazione Ross Dawson!), della fotografia, con l'avvento della radio, quello della televisione, dei mezzi di comunicazione multimediale ed internet qualcosa di specifico è profondamente cambiato nella mente dell’uomo. Prima di questa grande rivoluzione della comunicazione, prima che un segnale morse impiegasse un manciata di pochi secondi a fare il giro del mondo e tornare al punto di partenza, l'individuo aveva riti privati e collettivi ad arginare solitudine e senso di morte dietro ad esso. Dopo, i riti ed i rituali (cose ben diverse sappiamo) sono cambiati ed ancora, in questa fase di passaggio, stentano rumorosamente a funzionare, a causa di una estrema complessità di dati e stimoli che, se da una parte hanno contribuito ad elevare il livello di autocoscienza, dall’altra hanno comportanto una frattura rispetto alle origini –anche se la scienza e tecnologia tentano per la loro strada questo riappropriamento. " I miti ci guardano costantemente e noi dobbiamo riuscire a sostenerne lo sguardo" afferma Hilmann; bisogna riconoscerli dietro le maschere dei nostri moderni oggetti di desiderio.
Urlare il proprio dolore allo specchio di una camera che ti riprende dentro alla stanza del Grande Fratello, costituisce, da un punto di vista sociologico, solo un urlo di risposta a quello più grande che, inevaso, si è determinato nella cultura del nostro tempo. Non aiuta quello privato, non dà sollievo a quello dell'uomo che piange nascosto. Del bambino incompreso nei suoi bisogni. No One Knew Me recita il testo di Mad World, un interessante brano musicale di Gary Jules. La nevrosi della nostra cultura crea bisogni e risposte a questi a velocità crescente e, come pensa un grande uomo del nostro tempo quale Hilmann, non armonizza le domande e le risposte del singolo con il collettivo. Questo è un discorso ampio, difficile, a cui in questa sede si puòsolo accennare, ma è utile alla comprensione del successivo concetto. La drammaterapia ed altre discipline, in prezioso inesauribile bilico tra la scienza psicologica e quella umanistica, obbligano al recupero di quella riflessione dell’umano nell’umano che esplora il viaggio costante tra l'individuo ed il gruppo, attraverso le creazioni della sua cultura. Lo accompagnano, mentre affinano i suoi strumenti d'indagine, danno finalmente "dignità" al suo "drama", tentando di spogliarlo delle apparenze e dei travestimenti comodi e spesso mistificanti e, rendendo l'individuo "creatore" (e questa volta non solo tecnologico) e non solo "fruitore" del suo tempo. E' questo riappropriamento dei sentimenti e delle loro ombre (buone quanto le nostre ali) a lavorare in un laboratorio di dramma terapia. In questo specifico setting, sia esso clinico o rivolto al campo educativo, il partecipante “attore”, che non è un professionista, nell'incontro con la "finzione", sperimenta costantemente una difficoltà e parallelamente deve esercitare uno specifico impegno: è richiesto che la recitazione lo attraversi, modulandosi attraverso i suoi personaggi interni, nella maggior parte dei casi (certamente all'inizio del lavoro) sconosciuti. Qualsiasi sia la tecnica attoriale di insegnamento/addestramento, dunque il tipo di teatro, la finzione è certamente funzionale ad una buona recitazione; si lavora con essa e costituisce per l'attore il target principale nell'incontro con l'espressione della propria personalità artistica. Un percorso lungo, durissimo, appassionante, che quasi sempre, se riuscito, ad un certo punto della carriera, giunge quasi a fondersi con la persona e la sua identità, come accade per tutte le professioni che comportano un certo "lavoro interno". Nel caso della drammaterapia, invece, vi è il costante rischio che la "recitazione" costituisca la peggiore "stampella" teatrale, un appoggio facile (quanto si è più dotati in essa) che si allea alle resistenze dell'interprete; che impedisce che il soggetto teatrale (la drammaturgia) affondi, come un bisturi, nell'espressioni più intime di lui, dunque che si "imbeva" sua anima, elicitando ombre e luci. Memoria della drammaturgia, uso della voce e del movimento, dovrebbero costituire, ad un determinato punto del percorso in drammaterapia, abilità a disposizione dell'interprete che non lo distraggano dal lavoro con il proprio Io più profondo, da quello del processo drammaterapico e della catarsi. Se questo è il punto di arrivo (e necessita di una attenta disciplina e pratica), nella realtà iniziale dello stesso percorso è invece proprio nell'empasse, spesso "drammatica", con le proprie difficoltà che si presta l'utile lettura di quanto non visibile ed evocabile e, come dicevo, è maggiore il rischio che l'allievo s'inganni con l'idea che fare una buona performance significhi aver fatto lavorare bene il processo drammaterapico. L'apparente paradosso è costituito dal compito di essere "veri" attraverso l'essere "finti": un labirinto di temute percezioni di sè, nuovi aspetti della propria personalità, disillusioni e dinamiche sconosciute tendono ad affacciarsi ed allora è confortante l'appoggio al testo, il suo studio letterale, il divieto interno a "sdoganare" risorse ed energie.
Se quanto appena illustrato fa parte di quanto accade nel setting drammaterapico (sia clinico che orientato nel campo formativo/educativo), abbiamo proprio nel Creative Drama & In-Out Theatre la possibilità che si attuino questi pericolosi shortcuts di “recitazione” verso la performance drammaterapica. Infatti, nella drammaterapia il fuoco è costantemente tenuto sul lavoro drammaterapico all'interno del processo specifico e questo permette una costante tenuta del registro del proprio coinvolgimento o tradimento, tra autodisciplina ed interventi del director. Nel teatro drammaterapico, invece, è proprio questo contestuale spostamento del lavoro dei laboratori anche nella direzione della piece finale che può costituire l'abbaglio dall'obiettivo principale: il lavoro con se stessi attraverso il rituale ristretto (il gruppo) e quello allargato (gli spettatori). La preparazione della performance davanti al pubblico fa ripiegare il narcisismo sulle dinamiche dell'"apparire", piuttosto che del funzionare attraverso il processo drammaterapico e le posizioni a cui è giunto. L'intenzione "etica" della drammaterapia rischia, in poche parole, di slittare in quella "estetica". Vale ricordare, a tal proposito, che anche la "piece drammaterapica" costituisce un grande laboratorio di drammaterapia, dove, al gruppo ristretto dei partecipanti, si aggiunge quello tipico del pubblico come nel teatro, la dimensione più volte ricordata dello "spettacolo" così come, per nostra adozione, l'intendeva Grotowsky. Ciò che differenzia poi il prodotto finale è che, nel nostro contesto, il lavoro di "preparazione e studio" è avvenuto attraverso la metodologia propria della drammaterapia e proprio nel particolare coinvolgimento che si attua con il pubblico vi è l'importante riattualizzazione di quanto già lavorato nel gruppo ristretto ("rituale ampio").
Parafrasando quanto descrive in neurologia la definizione di arco riflesso che recita che “una fibra sensitiva ed una muscolare siano messe in comunicazione, senza la partecipazione dei centri nervosi superiori”, nella dramma terapia io cosciente ed inconscio invece lavorano, attraverso il drama, a rendere intellegibile ed insieme fruibile il senso delle nostre risposte agli “stimoli” della vita, creando nuovi adattamenti.
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