Le emozioni di un doppio Ironman
Dopo avere conosciuto Andrea di Giorgio (Pelo) nel precedente incontro, incuriosito dalle straordinarie prestazioni vissute, gli ho chiesto di raccontarci cosa prova un atleta nelle sue discipline, quando si avvicina la data della gara, quando si trova nel mezzo della bagarre competitiva e quali emozioni riesce a percepire quando si appresta a tagliare il traguardo dopo avere profuso per ore tutto quello che si ritrova dentro.
Era già l’ora di indossare la tuta e la tensione aveva raggiunto una tale consistenza che poteva essere toccata con mano. Come al solito il tempo dei preparativi del pre-gara era scivolato via ed ero lì nel tappeto verde della zona cambio indossando la mia fedele compagna di nuoto ripercorrendo in qualche modo quella che era stata la mia preparazione classificabile con l’appellativo di “POETICA”.
Dopo Un paio di anni dedicati alle ultramaratone tornavo al triathlon provando il rientro in grande stile: ero lì in balia di quella splendida tensione che mescolava dubbio, paura e sicurezza dei propri mezzi. Sicuramente la preparazione non era stata troppo certosina e mirata, ma avevo la grande sicurezza della tenuta fisica e mentale maturata nel corso degli ultimi due anni e il 2009 mi aveva regalato delle conferme con la Transaharienne e la Nove Colli Running. Inoltre l’organizzazione mi aveva assegnato il mio numero preferito : il 17. Chiusura muta, cuffia, occhialini e due bracciate scarica tensione più che riscaldamento, giusto il tempo di girare la prima boa (100mt.) e ritorno.
Saluto e bacio Claudia (la mia ragazza), stringo la mano, come si fa tra uomini duri, a Francesco e Alex e vado a sistemarmi in griglia di partenza restando nella seconda fila (trenta atleti, sicuramente non c’era pericolo di botte da orbi). Il cuore ricordava costantemente che lui c’era con un ritmo “leggermente” accelerato, la ricerca della concentrazione raggiungeva subito l’optimum, un secondo per girarsi indietro verso chi ti assiste e vedere alzare il pollice e poi lo sparo (forse una tromba o una voce, non ricordo) dava il via all’avventura, alla nuova sfida che mi ero lanciato.
L’acqua è calda su un paio di lati del percorso mentre è fresca nell’altro lato e questo va bene perché evita il surriscaldamento dentro la muta e tiene sveglia la mente. I giri sono 20 più il primo mezzo. Parto tranquillo cercando di allungarmi il più possibile ed avere una bracciata fluida, le gambe le lascio scivolare a galla sfruttando i benefici della muta. La mia tattica natatoria prevede la sosta rifornimento esattamente al 10° giro (3800 mt., distanza ironia che sono sempre riuscito a fare senza l’aiuto di additivi chimici). Giunto al 5° giro mi sento caldo e in forza e decido di allungare lasciando che il pericoloso agonismo mi porti alla caccia degli avversari, rinforzo la presa nell’acqua e inizio, bracciata dopo bracciata, a sorpassare atleti. Ad ogni giro ho il tempo di notare i miei supporter che mi seguono in riva, vedo anche Claudia che cade per terra e rido nell’acqua. Giro dopo giro arriva quello del ristoro mentre mi rendo conto che sto nuotando bene, forte……. Per quelli che sono i miei ritmi ovviamente; mi appoggio al pontile afferrando la mia borraccia di integratori salini e ne bevo mezza (dopo un’ora sotto il sole si può immaginare a cosa assomigli la bevanda). Riparto imballato duro, vengo sorpassato da 5 o 6 atleti; mi ci vuole un giro e mezzo per riacquisire il ritmo perso e riprendere i concorrenti che mi avevano rimontato. Li sorpasso e spingo fino al ristoro del 15° giro, uno squeezy, una sorsata veloce e continuo senza variazioni di rtmo fino alla fine, avendo l’accortezza di alzare la testa all’ultimo passaggio del pontile per leggere il cartello “last lap”.Esco dall’acqua imboccando il tappeto verde, via occhiali e cuffia il tempo di fare una faccia scema a Claudia, afferrare la borraccia del recupero (tutta droga pura naturalmente) e corro in zona cambio accorgendomi che il bicipite duole. Franci (o Alex) mi annuncia che sono 6°, dentro mi pavoneggio un po mentre inizio lo show di ballerino da locale per sole donne: giro la testa verso il pubblico che si trova alle mie spalle e sorridendo dico “sorry” poi via la muta e il costume restando nudo.
Sento qualcuno che ride per la scena mentre mi infilo la divisa da bici. Indosso tutto: calzini, booster, casco, occhiali gialli (che fanno più luce di quella che realmente c’è), numero, finisco la borraccia e via con la mia fedele Specialized verso la “ruota del criceto” che mi accompagnerà fino alla mattina dopo. Percorro l’asfalto che mi porta all’anello ciclistico da percorrere 100 volte e con sprezzo del pericolo mi ci infilo a velocità supersonica passando sotto al gazebo e sopra al tappeto contagiri: il Giro Zero è concluso, ora inizia la conta. Nel primo giro sbaglio le prime due curve, ma mi riprendo subito grazie anche al gro boa che ti costringe ad alzarti e fare qualche pedalata di rilancio, fungendo anche da antisonno. I giri scivolano velocemente anche se questa è una considerazione che riesci a fare solo quando sei al termine del giro, mentre sembrano un po’ più lunghi quando ne inizi uno nuovo. Il primo traguardo è al 50° giro (180 km.). Cala la notte e comincia il festival delle luci: chi sulla forcella, lampeggiante, chi dei fari da speleologi, chi le luci da rally della Subaru Impreza, io una lucina intermittente o fissa, giusto per cambiare un po’. Mentre mi fer mo per impellenti bisogni fisiologici al 25° giro, mi vengono forniti rifornimenti liquidi e qualche panino; riprendo e penso che al 40° giro sarà la volta della pausa cibo. Sosta lunga al 50° giro, cerco uno spazio per stendermi, per provare a sciogliermi, mangio e bevo, qualche parola con Claudia e si va. Dopo la pausa mi sento un leone, vado fortissimo, ma ragiono e dal 60° giro in avanti accorcio i segmenti tra le pause e i rifornimenti. Da criceto or mai diplomato, mi avvicino all’ultima sosta prefissata(75° giro); manca solo un quarto di bici, ma la fatica inizia davvero ad affiorare. A ritmo più tranquillo e a colore del viso ormai bianco, giungo al 99° giro (contati tutti) rimanendo sorpreso nel non vedere il cartello “last lap”. Arriva la mazzata: un errore di conteggio e devo fare ancora 4 tornate. Tra il nervoso e la voglia di uscire dalla ruota del criceto il momento di scendere dalla bici arrivò. La sensazione nell’appoggiare i piedi per terra e muovere le gambe non era delle migliori. Secondo cambio e secondo spogliarello poi la magia: le gambe giravano, sembravo rinato, anche se mi sono subito accorto che il ritmo impostato era un po’ troppo veloce. Giro dopo giro, incalzato dagli applausi del pubblico e dallo speaker, ho recuperato portandomi al decimo posto. Claudia mi assisteva fornendomi tutto ciò che era necessario e anche di più, ero l’unico atleta col servizio spugnaggio e barattolo di “nutella”.
Il ritmo veloce è continuato fino alla maratona, dopodiché la fatica a cominciato ad affievolire le gambe, ad indurire gli addominali e a mettere in difficoltà la respirazione. La difficoltà principale diventava il non riuscire ad impostare una respirazione cadenziata con il rito delle gambe. Come se non bastasse è arrivato un temporale, ma Santa Claudia (ormai aveva l’aureola) a fine giro era già dotata di giubbotto in Goretex. L’ultimo tratto di nervosismo a 10 giri dalla fine quando l’organizzazione tentò di convincermi che erano 11, ma poi, conti alla mano, si corresse comunicandomi il 9 al passagio successivo…… erano finiti i numeri a due cifre. Ora alternavo giri in rimonta a tornate più lente in cui venivo superato, ma sempre con Claudia che mi forniva regolarmente bevande e incoraggiamenti. Ora penso all’arrivo, a quando passerò sotto il traguardo: chiedo aiuto per togliere la maglia ter mica per mostrare Surfing ShopTriathlon e ricevo due bandiere, quella dell’Italia e quella dell’Amref. Libero le emozioni dentro di mè: sorrido e piango di gioia. La consapevolezza di avere vinto l’ennesima tua sfida regala una forza e delle emozioni che sono qualcosa di indescrivibile…… gli ultimi passi prima del traguardo; ringrazio chi è lassù, la mano che si stringe, il braccio che si alza (l’altro morto definitivamente). Il rumore della gente che applaude gira intorno alle orecchie facendo un gran frastuono ma non entra dentro perché dentro c’è qualcosa di più grande, immenso, intimamente tuo. Chiudo nono assoluto in 24 h 36’, non potevo chiedere di meglio. Stringo le mani degli organizzatori che si complimentano con mè, abbraccio commosso Claudia, prendo i complimenti da mio nipote Francesco (fotografo ufficiale) ed Alex (addetto stampa personale) respirando quell’aria magica di vittoria, stanco, ma con un sorriso immensamente grande.
Come Zorro insegna, anche stavolta ho lasciato il segno………..
Grazie Andrea per farci provare emozioni intense comodamente seduti sul nostro divano; sappiamo che ti stai preparando per un’altra straordinaria impresa e attraverso questo network ti facciamo tanti complimenti e un caloroso in bocca al lupo. Ci risentiamo in autunno quando ci racconterai l’ennesima sfida con l’estremo