I papi del risorgimento e l’unità d’Italia… un’aspetto storico controverso
i pontefici e l'ideale antiunitario..
KGC fr.Vincenzo Felice Mirizio
Commendatore Cavalieri del Tempio San Giovanni Battista – Terra del Salento
Commander Scottish Knights Templar (Scozia)
Membro della Society for the Study of the Crusades and the Latin East – New York
Cav. fr.Antonio Leanza
Cavaliere della Commenda San Giovanni Battista – Terra del Salento
Componente Gruppo Ricerca Storica della Commenda
Il valore della nostra Patria racchiude una pagina di storia ricca di “momenti” che resero forte l’idea dell’Unificazione dell’Italia, per questo dobbiamo tenere in debita considerazione il periodo pre-unitario quando, oltre ad essere divisi in molti stati, eravamo (per alcuni versi) dominati da potenze straniere. La storiografia dell’Unità d’Italia, in alcuni riferimenti, omette i protagonisti del periodo risorgimentale come Cavour, Garibaldi, Crispi, i quali senza ombra di dubbio “parteggiarono” nel diffondere la nuova ideologia anticlericale che si oppone all’Unità d’Italia. Il rapporto dei cattolici italiani all’interno della pagina della storia risorgimentale è stato da sempre oggetto di diverse critiche, unitamente alla considerazione di interpretazioni contrarie al loro fondamento. Il processo della laicizzazione, frutto della Rivoluzione Francese, contribuì alla nascita di nuove ideologie di Stato,fondate sul concetto di “Nazione” e “Sovranità popolare”. Nella storia risorgimentale i cattolici italiani contribuirono a singhiozzo all’avvio di questa nuova politica unitaria pur avendo, per un brevissimo tempo, l’appoggio del pontefice Pio IX.
Nel 1848 Pio IX assunse una posizione distante dal progetto di unificazione dell’Italia, favorendo di conseguenza le posizioni ostruzionistiche della maggioranza dei cattolici. I papi del risorgimento promulgarono un numero rilevante di encicliche tendenti a contrastare l’identità italiana, infatti già nel periodo del pontificato di Gregorio XVI, la Chiesa nel suo interno aveva due orientamenti: quello dei “politicanti” contrapposto a quello degli “zelanti”. Il primo era aperto verso le idee liberali, il secondo, invece, non accettava la modernità al cui vertice vi era il cardinale Pacca. Quando nel 1846 al Soglio di Pietro salì Pio IX (allora Giovanni Maria Mastai Ferretti), alcune speranze alimentarono il pensiero dei politicanti, in quanto manifestò la tendenza a favorire il neoguelfismo ed il cattolicesimo liberale insieme alle tante riforme che furono accolte dal popolo di Roma con grande attesa come l’abolizione, tra le tante, del muro del ghetto ebraico. Queste riforme alimentarono nella popolazione una forza ideologica anti-asburgica, con il grido di <
L’unificazione d’Italia proclamata da Vittorio Emanuele il 17 marzo 1861 poteva ritenersi compiuta anche se il Veneto era ancora sotto il dominio austriaco ed il Lazio ancora rappresentava la culla del potere temporale del papato. L’intero Lazio e Roma vennero ammessi all’Italia il 20 settembre del 1870, segnando la fine del potere dello Stato Pontificio ed il conseguente potere temporale dei papi e disciplinando, attraverso la Legge delle Guarantige, i rapporti tra Regno d’Italia e Santa Sede. Pio IX non accettò quanto gli veniva imposto, il quale, in segno di protesta insieme al suo enturage, non accettò di uscire dai palazzi del Vaticano (condizione che viene classificata dalla storiografia la “questione romana” risoltasi nel tempo con la firma dei Patti Lateranensi).
Leone XIII, che successe a Pio IX, rifiutò di pronunciare la benedizione “Urbi et Orbi” in piazza San Pietro, in quanto l’Urbe era la rappresentanza della popolazione italiana e non più pontificia. L’azione anticlericale manifestò la sua intolleranza verso la Chiesa di Roma quando, a ponte della notte fra il 12 e 13 luglio del 1881, la folla cercò di gettare nel Tevere la salma di Pio IX mentre il corteo si spostava da San Pietro verso San Lorenzo in Verano. L’accaduto venne riportato con molto disprezzo dal giornale della Santa Sede “L’osservatore Romano” in quanto, se pur la folla per bocca dei papalini inneggiava “W il papa Re”, tra essa in molti intonavano l’inno di Garibaldi, dando in seguito il clamore patriottico del grido “W l’Italia, W Garibaldi, morte al papa”. Il pontificato di Leone XIII è molto dibattuto dagli storici, poichè in quegli anni avvennero cambiamenti rilevanti che lasciarono lo stesso papa indifferente alle richieste dei cattolici moderati, i quali aspettavano un netto cambiamento politico della Santa Sede nei confronti dell’Italia unita con Roma capitale. I sostenitori del papa, invece, consideravano una grave offesa verso il pontefice la scelta di Roma capitale, in quanto non era da considerarsi figlia legittima della rivoluzione liberale francese, ma piuttosto ha da sempre rappresentato il luogo in cui il Vicario di Cristo esercitava il sua azione di pastore sui popoli cristiani. Il pontificato di Leone XIII poneva la sua fermezza verso le nuove emergenze sociali, senza porre atteggiamenti di ostilità nei confronti del nuovo Stato unitario italiano; senza dubbio il pontefice non voleva abbandonare le posizioni temporali di un tempo, ma intendeva dare un moderno contenuto rivendicazionaliista. L’Italia unita sancì la perdita dei domini da parte della Chiesa di Roma e tale condizione divenne il fondamento delle sue ostilità e dei conflitti lo stato neonato, in quanto considerava la perdita del potere temporale una minaccia per la sua indipendenza e per questo non esitò a condannare il nuovo stato unitario e la sua politica fondata sui principi liberali come l’osteggiamento alla fede cristiana. Occorre a tal fine chiarire che, anche se la Chiesa Cattolica impedì ai cattolici di partecipare alla tornata elettorale, certamente non influenzò la libertà di molti italiani di recarsi alle urne e questi si caratterizzarono dal fatto di distinguersi in “veri italiani”. I papalini speravano nel ritorno del potere temporale come era sancito dall’art.1 dello Statuto Albertino, il quale decretava la religione cattolica religione di stato. Con la fine del pontificato di Leone XIII e l’elezione di Pio X si notò un leggero avvicinamento tra i cattolici e liberali moderati, seguito dal parziale annullamento del “Non Expedit” conclusosi nel 1913 con il Patto Gentiloni.
Momento importante del laicismo e dell’anticlericalismo, in quel periodo di ostilità tra Chiesa e Stato, si raggiunse con l’inaugurazione del monumento in memoria di Giordano Bruno, ritenuto simbolo della ribellione nel clima dogmatico nei riguardi delle istituzioni, divenendo di conseguenza l’emblema dell’intolleranza religiosa e dell’oscurantismo. Esso rafforzava il pensiero innovativo: “tomba del potere temporale e del dogma, la culla della nuova libertà e di pace”.
Concludendo, i padri del risorgimento italiano serbavano l’odio verso la Chiesa… per meglio asserire verso i pontefici del periodo pre-unitario, in quanto la questione dell’Unità d’Italia deve essere vista come una lotta di poteri, ove i liberali avevano una fede incontrollabile ed erano assertori che il papato doveva scomparire, ponendo in nome della libertà un cambiamento radicale dell’identità degli italiani. Purtroppo vi fu una grande ostilità perpetuata dai pontefici risorgimentali i quali non accettarono mai la perdita del potere temporale, come lo documenta il chiaro passaggio dall’Italia divisa in tanti piccoli stati alla sua stessa unità voluta da quanti, nel nome della nuova libertà, seppero trasmettere l’identità sotto l’unico colore della fratellanza e del Tricolore.