Concerto inaugurale Stagione Sinfonica 2014 diretto da Aziz Shokhakimov
Sarà il Direttore uzbeko Aziz Shokhakimov, alla direzione dell’Orchestra e del Coro del Teatro, ad inaugurare, giovedì 30 gennaio 2014 alle ore 20.30, la Stagione Sinfonica 2014 del Teatro Comunale di Bologna. Il Maestro americano James Conlon, precedentemente annunciato, è stato costretto a rinunciare a causa di gravi motivi personali.
Il primo dei 16 concerti, che si terranno presso l’Auditorium Teatro Manzoni, è un ideale omaggio al Giorno della Memoria – 27 gennaio – con l’esecuzione della Sinfonia n. 13 op. 113 in si bemolle minore per basso e coro maschile Babij Jar di Dmitrij Šostakovič. Il titolo della sinfonia ricorda la strage di ebrei perpetrata dai nazisti tra il 29 e il 30 settembre del 1941 nella fossa di Babij Jar, nei pressi di Kiev, in Ucraina. La voce solista sarà il basso Arutjun Kotchinian.
Il concerto si apre con l’esecuzione della composizione A Ballad of Heroes per tenore, coro e orchestra di Benjamin Britten, su testi di Randall Swingler e W. H. Auden, di rara esecuzione, ideale ouverture della grande sinfonia di Šostakovič di cui anticipa l'impegno antifascista e la testimonianza dell'orrore della guerra. La voce solista è quella del tenore Boyd Owen.
Il Maestro del Coro è Andrea Faidutti.
Il giovanissimo direttore uzbeko Aziz Shokhakimov, reduce dal recente successo ottenuto con il concerto sinfonico dello scorso 8 novembre - e che sarà di nuovo protagonista nella Stagione Lirica il prossimo aprile con la direzione dell’attesissimo Evgenij Onegin -, dirige con piglio deciso un programma certamente non facile e dai temi particolarmente impegnati.
“Pacifismo, antimilitarismo, rifiuto della sopraffazione, rispetto per la marginalità e per l’infanzia sono sfaccettature di un unico, vigoroso istinto umanitario che fecondò fin dai suoi esordi la produzione di Benjamin Britten (1913-1976), specie dal ciclo di liriche con orchestra Our Hunting Fathers (1936) in poi. L’autore delle poesie musicate in quel lavoro, Wystan Hugh Auden (1907-1973), ebbe sulla formazione intellettuale di Britten un ruolo determinante: era una delle figure di spicco della sinistra inglese che proprio negli anni ’30 stava definendo la propria fisionomia, guardando agli sviluppi del comunismo, visto allora come ispirazione e alta idealità. Nel ’37 il poeta aveva partecipato come autista alla Guerra Civile spagnola, assistendo non solo alle efferatezze dei Nacionales, la fazione fascista guidata, tra gli altri, da Francisco Franco, ma anche a quelle dei Republicanos antifascisti, a sostegno dei quali, come molti stranieri, era corso. Questo impatto con la realtà lo segnò profondamente, inducendolo a un acuto senso di smarrimento espresso in tutta la sua riflessione successiva.
Proprio nell’intento di celebrare la memoria dei caduti della British International Brigade e gli ideali da essi perseguiti, insieme a Randall Swingler (1909-1967), già autore per Britten dei versi del mottetto Advance Democracy, Auden fornì al compositore le liriche della Ballad of Heroes, op. 14. La composizione, dedicata a Montagu Slater (anch’egli uomo di sinistra e più tardi librettista del Peter Grimes) e a sua moglie Enid, fu scritta nel marzo 1939 ed eseguita il 5 aprile successivo alla Queen’s Hall di Londra, sotto la direzione di Constant Lambert, nel corso del Festival “Music for the People”. L’accoglienza fu favorevole.La partitura di Britten mostra una coscienza artistica solida, capace di superare i limiti di testi piuttosto modesti, fatto questo sottolineato già dai critici dell’epoca e vero soprattutto nel caso di Swingler. Ma la Ballad merita attenzione anche per la sua posizione all’interno del percorso creativo del musicista, collocandosi a metà strada fra Our Hunting Fathers e il War Requiem (1961-62), del quale anticipa certe soluzioni. […]
Poco dopo la "prima" Britten si imbarcò per gli USA: un trasferimento sollecitato forse più dalla percezione degli imminenti destini dell’Europa che da una reale convinzione. Il 1° settembre 1939 i nazisti avrebbero invaso la Polonia, scatenando la Seconda guerra mondiale”.
“La Sinfonia n. 13 in si bemolle minore, op. 113 Babij Jar rappresenta l’ultimo capitolo del travagliato rapporto di Dmitrij Dmitrievič Šostakovič (1906-1975) con il potere sovietico. Ripercorrere nel dettaglio le vicende precedenti sarebbe qui impossibile, per la loro complessità e le ragioni talvolta condizionate da dinamiche sfuggenti (come l’attrazione-repulsione del compositore per Stalin). Basterà rievocare la censura dell’opera, Lady Macbeth del distretto di Mcensk (1934) apparsa nel ’36 sulla Pravda e la successiva, dolorosa abiura di Šostakovič. Nel 1962 qualcosa stava però mutando: morto Stalin da nove anni, la politica del disgelo del nuovo segretario del PCUS Nikita Chruščëv mostrava i suoi primi effetti. In questo clima si collocano la rielaborazione della Lady Macbeth (che diverrà Katerina Izmailova) e la nascita dell’op. 113.
Dopo due sinfonie di scarsa sostanza musicale e sovrabbondanti di retorica, Šostakovič scelse l’irta via dell’opera impegnata sul piano intellettuale e compositivo. Lo stimolo gli venne dalle liriche dell’enfant terrible Evgenij Aleksandrovič Evtušenko (1932). Una in particolare attrasse l’attenzione del compositore, da sempre sensibile al dramma del popolo ebreo, divenendo fulcro del lavoro, al quale fornì anche il titolo: Babij Jar, appunto. Il riferimento è a una delle pagine più misconosciute, scomode e dolorose della storia russa: l’eccidio di Babij Jar, una gola alle porte di Kiev dove il 29 e 30 settembre 1941 i nazisti, che occupavano la città, trucidarono a colpi di mitragliatrice 33.771 ebrei. L’episodio non rimase isolato: si stima che durante l’occupazione a Babij Jar siano state assassinate in totale da 50.000 a 150.000 persone. Ai fatti seguì un lungo processo di rimozione: i primi versi della lirica denunciano proprio l’assenza di un monumento in loco che dichiarasse la natura razziale della strage; Evtušenko, al contrario, fu criticato di aver “omesso” che le vittime fossero prima di tutto russi e solo in secondo luogo ebrei: un difetto di nazionalismo imperdonabile per il potere sovietico, ma comprensibile perché teso a infrangere un silenzio inaccettabile. A Babij Jar, nella lirica vengono accostati la prigionia in Egitto, Dreyfus, Byałistok e Anna Frank: momenti di una millenaria persecuzione. Le altre liriche si irradiano dalla prima e approfondiscono temi correlati: la repressione della satira, la condizione femminile, la paura, il rapporto fra intellettuali e potere.
La musica di Šostakovič risponde in modo originale: i testi sono affidati a un basso e a un coro di bassi praticamente sempre unisono; l’intonazione, asciutta e dignitosa, talora ieratica, rimanda a Musorgskij, riferimento essenziale per Šostakovič, e alla tradizione corale russa; l’orchestra è nutrita, ma trattata in modo severo e concentrato. Il tono quasi oratoriale, insieme alla scelta di non impiegare melodie ebraiche, fa sì che siano trascesi gli spunti di partenza ed eleva il discorso al rango di riflessione generale sulla libertà e sul rapporto fra vita individuale e collettiva: a ben vedere, si tratta di un ripensamento denso e problematico dei principi del realismo socialista e del ruolo politico dell’artista. […] L’idea di base dell’opera era ardita (lo dice la defezione di Evgenij Mravinskij, fin lì direttore ufficiale per ogni nuova opera di Šostakovič), ma la “prima”, diretta a Mosca il 18 dicembre 1962 da Kyrill Kondrašin, fu un trionfo pieno e il pubblico applaudì in lacrime; la stampa si limitò a brevi accenni. Poco valse il tentativo di “correggere” i testi. Iniziando a circolare, la sinfonia ottenne ovunque successo, dimostrando la sua forza di autentico capolavoro.
Da allora, nessuno osò più intralciare l’attività di Šostakovič che, malgrado la salute precaria, continuò la sua indagine introspettiva che ormai nulla aveva a che spartire con la retorica e l’ottimismo obbligatorio del realismo socialista”.
Dal programma di sala a cura di Paolo Valenti
Lo straordinario talento di Aziz Shokhakimov si è mostrato internazionalmente nel 2010 a Bamberga, conquistando a 21 anni il 2° premio del Gustav Mahler International Competition sotto gli auspici dei Bamberger Symphoniker.
Sono succeduti debutti esplosivi: in Germania con la Staatskapelle Dresden e la Deutsche Kammerphilharmonie Bremen; in Italia con la Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna e l’Orchestra Verdi di Milano; in Polonia con la Sinfonia Varsovia; a Mosca con la National Philharmonic Orchestra of Russia di Spivakov; in USA in tour con I Musici di Montreal.
Uzbeko, classe 1988, ha studiato violino, viola e direzione a Tashkent. A 13 anni ha debuttato con l’Orchestra Nazionale dell’Uzbekistan, dirigendo la 5° Sinfonia di Beethoven e il 1° Piano Concerto di Liszt; l’anno seguente ha diretto Carmen al National Opera&Ballet Theatre of Uzbekistan.
A 17 anni è stato invitato nel programma di formazione della National Philharmonic Orchestra of Russia guidata da Vladimir Spivakov, sfociato nell’invito a dirigere l’orchestra a Mosca nel 2010. Nel 2006, appena diciottenne, ha assunto la posizione di Direttore Principale della National Symphony Orchestra of Uzbekistan.
Shokhakimov terrà una nuova serie di debutti importanti nel 2012-13, tra cui il Teatro Comunale di Bologna, la Oregon Symphony e la Pacific Symphony, la Spanish Radio&TV Symphony a Madrid (RTVE), i Düsseldorfer Symphoniker, e i ritorni a Brema, Varsavia (con Nikolai Lugansky) e Mosca.
Boyd Owen è nato nel 1983 in Australia dove ha intrapreso gli studi di canto.
Ha cantato con compagnie d’opera in Australia, Europa, USA e Cina. Ha vinto il 18° Concorso Internazionale per Cantanti Lirici “Spazio Musica”. Ha al suo attivo numerosi ruoli tra i quali il ruolo nel titolo La clemenza di Tito di Mozart per il Masterworks Festival, USA, così come i ruoli tenorili in Cosi fan tutte di Mozart e L’incoronazione di Poppea di Monteverdi per il Victorian Opera, Australia.
Ha cantato con il gruppo australiano The Ten Tenors per molti anni. Nel novembre 2013 è stato Quint in The turn of the screw, spettacolo conclusivo della Stagione Lirica del Teatro Comunale di Bologna.
Arutjun Kotchinian ha studiato canto a Mosca con Evgenij Nesterenko. Si perfeziona successivamente con Tom Krause e Helmuth Rilling. Ha cantato in: Don Giovanni a Barcellona, Trovatore (Ferrando), Turandot (Timur), Luisa Miller e Faust al Covent Garden di Londra, Moses und Aaron di Schönberg a Los Angeles, Turandot ad Amburgo e Colonia, Oedipus Rex a Barcellona ed a Londra, Boris Godunov (Pimen) a Barcellona, Aida a Los Angeles e Tokyo, Simon Boccanegra a San Diego e Toulouse, Don Carlo (Filippo II) a Colonia, Nabucco (Zaccaria) a Los Angeles, Copenhagen ed Anversa; Oedipe a Toulouse; Trovatore ad Orange e Bilbao, Norma (Oroveso) a Detroit, Lucia di Lammermoor a Losanna, Rigoletto a San Diego e Los Angeles. In Italia ha cantato: Luisa Miller (Wurm) alla Scala e a Venezia, Rigoletto (Sparafucile) a Cagliari, Trieste, Ancona e Palermo, Iolanta di Čajkovskij alla Scala, Nabucco a Venezia, Sonnambula a Salerno, Simon Boccanegra (Fiesco) e Don Quichotte (ruolo del titolo) a Trieste, Palermo e Cagliari, Andrea Chénier e Trovatore in tournée in Giappone con Bologna; Bohéme a Genova.
Arutjun Kotchinian svolge inoltre un’intensa attività concertistica e discografica.
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