Anfiteatro Flavio. A Pozzuoli il monumento allo spettacolo del silenzio dell’incompetenza
Ecco, ci risiamo, appena spenta la eco di un’ennesima brutta figura celebrata sotto gli occhi di attoniti cugini europei, si ripete la trama di quella rappresentazione chiamata “Fallimento italico”. Di cosa parliamo? Di quel gioiello che siede a Pozzuoli come un guerriero fiero e stanco che è già pronto a combattere ancora.
Costruito per celebrare la ricchezza della città romana e ben conservato ancora oggi l’Anfiteatro Flavio, il piccolo colosseo di Pozzuoli, si vede ancora una volta solo dietro cancelli chiusi. È questo l’ennesimo esempio di pessima gestione delle risorse del nostro Paese: la straordinaria conservazione del monumento, destinato in antico agli spettacoli, attira quotidianamente visitatori da tutto il mondo. Ma li attira soltanto e, come un miraggio, una volta raggiunto questo monumento magico, il desiderio di immergersi in questa bellezza millenaria resta insoddisfatto lasciando un sapore amaro e fastidioso a tutti i turisti che riportano a casa solo domande alle quali solo un italiano potrebbe rispondere articolando frasi assurde. Come giustificare altrimenti quel cartello scritto a mano “chiuso per mancanza di personale”?
Ci spiegano che la Soprintendenza non riesce a garantire il numero necessario di custodi per tenere aperto il monumento. Ma come mai il cronista che scrive vede otto dipendenti a prendere il caffè dietro il cancello? Ne consegue che il danno è duplice, i custodi presenti sono pagati per passare le giornate in un sito archeologico chiuso mentre pulman interi di turisti, che pagano volentieri il biglietto d’ingresso, trovano i cancelli chiusi in orario di visita. Incredibile vero?
Una pessima figura aggiunta alla perdita a livello economico sia per la Soprintendenza che per la città di Pozzuoli. Al danno si aggiunge la beffa: l’Anfiteatro viene presentato come uno dei siti archeologici più importanti (http://archeopozzuoli.sbanap.campaniabeniculturali.it/itinerari-tematici/schede/pozzuoli-anfiteatro-maggiore), al punto da aver stipulato una Carta della qualità dei Servizi, in cui si legge: “Il direttore e lo staff dell’area archeologica dell’Anfiteatro perseguono l’obiettivo del continuo miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia del servizio, adottando le soluzioni tecnologiche, organizzative e procedurali più funzionali allo scopo”
(http://archeopozzuoli.sbanap.campaniabeniculturali.it/carta-della-qualita-dei-servizi)
Ne consegue che lo splendido edificio di forma ellittica, fatto costruire dai cittadini della romana Pozzuoli di tasca propria (de pecunia sua, come recita una orgogliosa iscrizione latina in marmo), sia trascurato dall’Ente che non riesce a mantenere le promesse formalizzate nella Carta della qualità dei Servizi.
Possibile che i turisti debbano ricorrere al Consolato per far sentire la propria voce? Possibile che un Ente con poteri estesi come la Soprintendenza sia convinto di vivere nella stessa epoca in cui i monumenti che cerca di conservare vennero costruiti e non sappia che nel terzo millennio la cura per l’utente è, oltre che un business, un’arte? Che si dia dunque voce a tutti i turisti che quotidianamente non possono reclamare. Aspettiamo risposte concrete, certi (noi lo siamo, ma di sicuro non lo è la Soprintendenza) che esista l’interesse a migliorare la qualità del servizio.
Antonio Gnassi
Per approfondimenti
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