ARTE E CULTURA
Articolo

Dario Leone, Storie di ordinaria amministrazione

14/12/20

Ernesto Sechia, giovanissimo comunista di Borgotazza, si candida con il Centro Sinistra locale sostenendo Augusto Benito alla carica di Sindaco. Dopo una schiacciante vittoria, inizia l’esperienza amministrativa che finisce col diventare un incubo totalitario. Dimettendosi da Consigliere comunale e divenendo Assessore, Sechia comincia una lunga e logorante battaglia per frenare lo strapotere di Benito il quale lentamente si sostituisce ai partiti imponendo un regime personalistico di controllo e di dominio. Un romanzo scomodo su una micro dittatura nel cuore dell’Italia democratica, ispirato a una storia vera, che narra le realtà amministrative periferiche e il tramonto delle formazioni politiche della Sinistra “radicale”. Dario Leone è Saggista e Sociologo specializzato. Ha pubblicato precedentemente Le gabbie sociali della Globalizzazione (Susil, 2014), L’amore ai tempi della Globalizzazione (Aracne, 2017), Identità liquida, disagio solido (Nulla Die, 2019) e scrive editoriali di analisi socio-politica per varie testate giornalistiche. La premessa al libro è di Marco Rizzo.

FotoQUANDO L’OPPOSIZIONE SCOMPARE
Storia di repressione e dittatura in un piccolo paese

Dario Leone ci ha abituati, nella sua produzione bibliografica, a leggere i mutamenti sociali attraverso le conseguenze che producono sulle persone. I suoi saggi sull’identità, l’amore e la Globalizzazione, ci hanno mostrato amaramente la degenerazione dell’uomo contemporaneo indotta dal sistema sociale che respira, ammalandolo. Forse, uno dei suoi più grandi “aiuti” analitici, è l’invito a distinguere sempre i fallimenti individuali da quelli indotti dalla società che nella maggior parte dei casi sono distinti cognitivamente in maniera alquanto impercettibile. Poi, d’un tratto, accade qualcosa nella sua scrittura e sceglie temporaneamente di affidare alla narrativa la descrizione di un fenomeno sociale orribile che mostra come si possa istaurare una vera e propria dittatura nel cuore dell’Italia democratica agli esordi del III Millennio.
“Storie di ordinaria amministrazione” s’intitola quello che lui definisce “narrativa sociologica” ma che assume le sembianze di un vero e proprio romanzo politico. Una sorta di rivisitazione in miniatura della “banalità del male” di Hannah Arendt rappresentata (è forse la cosa che colpisce di più), da un intero Consiglio comunale che ratifica la scelta di un Sindaco-podestà, di eliminare dalle scene istituzionali un giovanissimo ragazzo comunista (pluripremiato alle elezioni) a causa della sua anima critica, coprendolo di fango e riducendolo all’isolamento sociale in pieno e totale spregio della democrazia elettiva. Uno scenario nel quale la minoranza eletta si avvia ad essere informalmente inglobata nella maggioranza di governo della comunità, garantendo al Sindaco, Augusto Benito, la pressoché totale assenza di opposizione con la conseguente libertà di dominio e di controllo paranoico, maniacale e sottilmente violento dell’intera comunità. In breve tempo tutti gli oppositori (tra i quali anche un ex Sindaco tra i più amati e longevi del paese) non solo spariscono dallo scenario politico locale, ma si dirigono volontariamente verso l’esilio nell’impossibilità di condurre in loco una vita civilmente democratica. Ernesto Sechia (così si chiama nel romanzo il giovanissimo comunista del PdCI), lancia i suoi ultimi gridi di allarme paventando il dissesto economico (a causa dello sperpero ingente e futile di denaro pubblico), e il disastro ambientale (a causa dell’assenza di trasparenza del Sindaco nella gestione sempre più strana e oscura di impianto di smaltimento e riciclaggio dei rifiuti a pochi passi dal centro abitato). Pur mettendo in atto vari tentativi di resistenza, Sechia è indirettamente costretto ad abbandonare il suo paese trasferendosi in un villaggio montano sostanzialmente disabitato. L’esilio si trasforma in eremitaggio riflessivo inaugurato da un “secondo crollo del muro di Berlino”, ovvero la fine della Sinistra radicale e l’avvio dello scioglimento del partito di Sechia, i Comunisti Italiani. E qui si apre un’altra questione chiave del romanzo: “come continuare ad essere comunisti in una fase controrivoluzionaria che fattivamente non lo permetterebbe”. E ancora, potremmo dire, che il romanzo è anche una riflessione sulla politica delle alleanze. Marco Rizzo, Segretario generale del Partito Comunista, scrive nella premessa che i lettori dovrebbero, per tutto il tempo del romanzo, fare sempre riferimento alla domanda “Cosa significa avere un Partito Comunista indipendente”. Ancor più particolareggiata è l’analisi contenuta nella postfazione di Antonio Felice (atavico compagno di battaglia di Dario Leone), che scrive: “Borgotazza è il Comune, simile ad altri mille della provincia italiana, dove chi non si rassegnava a “morire democristiano” cercava, pur tra mille difficoltà, di mantenere viva la “fiammella” di una società più giusta e a misura d’uomo. I protagonisti politici di questo libro Ernesto Sechia e Augusto Benito rappresentano le rotture tra i comunisti e il nuovo protagonismo democristiano rappresentato dal “partito nuovo” che il PDS-DS e poi PD ha avuto in quegli anni”. Ma è al tempo stesso un’opera sulle conseguenze psico-sociali che un sistema politico produce sulla pelle delle persone. Assolutamente da leggere



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