Cinematerapia: l'uso dei lungometraggi naturalistici
Il lungometraggio naturalistico: appunti per un possibile utilizzo in cinematerapia (parte prima).
Riportiamo un articolo di M.Pina Egidi e di E. Gioacchini, rispettivamente esperta di cinematerapia e direttore dell'Atelier di Drammaterapia LiberaMente, amministratori di un blog sulla cinematerapia in rete.
Premesso che qui si parla del documentario o del lungometraggio naturalistico di qualità e l'’oggetto della discussione è il lavoro di ripresa dal vivo della realtà naturale, senza alcuna manipolazione, aggiustamento, abbellimento del soggetto e dell’ambientazione, desideriamo analizzare la possibilità e le potenzialità di un documentario sulla wilderness nei setting di cinematerapia.
Il successo e il consenso intorno a tale genere è indubbio. Cito qui un recente caso come la “Marcia dei Pinguini”, film documentario di produzione francese, che mostra il lungo e impervio cammino, tra i ghiacci antartici, di tali animali per garantire la sopravvivenza della specie.
Pochi colori: il bianco della location, la livrea bicolore del pinguino, l’azzurro del cielo e la gamma dei grigi delle tempeste dei ghiacci. Scarsi protagonisti: i pinguini raramente interagiscono con altri animali, quasi inesistenti le spettacolari lotte contro predatori, assente l’uomo (ovviamente) e la sua opera. Eppure, il film, uscito nel 2005 in Italia, ebbe un successo eclatante e il commento italiano di un personaggio di vasto consenso come Fiorello era “solo” un valore aggiunto a un’opera che puntava sul fascino di una storia vera e dura da raccontare senza sconti e vinceva la scommessa. Successo meritato, direi, di questa e di altre opere, analoghe per ispirazione e coerenza stilistica e di intenti. Soprattutto se si pensa che c’è un “film nel film”, in questi casi. Pochi minuti di onesta ripresa, condotta con l’occhio e lo spirito del naturalista osservatore, sono spessissimo la ricompensa per giorni di appostamenti, di monitoraggi e di accorgimenti complessi, finalizzati, nella stessa misura, a non turbare gli habitat e a garantire un risultato ottimale dal punto di vista tecnico.
La misura del consenso e dell’interesse verso questo genere può essere data da ciò che capita di frequente nell’esperienza professionale di chi opera – inclusa la sottoscritta - nel campo dell’educazione ambientale e della biologia della conservazione.
Circola tra noi “addetti ai lavori” la storia che, in una scuola elementare romana, quando fu chiesto ai bambini di citare alcuni animali selvatici, gran parte degli allievi citarono lo gnu, sottovalutando specie più familiari del nostro ambiente quali l’istrice e la volpe. E’ una risposta che lascia basiti sul momento, ma forse neanche poi troppo sorprendente se si pensa che esiste una nuova generazione urbana che non conosce le lucciole (ricomparse solo recentemente in parchi e giardini, dopo un diminuzione dovuta all’inquinamento) e che ha da tempo fraternizzato con i cicli vitali di animali esotici, grazie ai documentari televisivi.
Le finalità dei documentari naturalistici sono commendevoli. Educano, informano, comunicano valori, a volte divertono o fanno riflettere. Non fanno sconti: niente “happy end” – o meglio – l’happy end è sotteso, a volte, nella trama del lavoro perché se si riesce a documentare l’intero ciclo vitale di un esemplare o di un branco, si mostra il successo evolutivo, la vittoria sugli elementi, il compimento di un’avventura di vita. Tuttavia non è possibile nascondere allo spettatore immagini e concetti fondanti della scienza: la morte certa di un cucciolo ferito o abbandonato, la predazione crudele (ma mai impari), la scomparsa di habitat sotto pressioni naturali o antropiche.
Quindi, ci si può chiedere, quanto sia efficace e opportuno l’impiego di tale genere cinematografico nei percorsi di cinematerapia.
Prescindendo dal valore didattico del documentario/lungometraggio naturalistico di illustrare con rigore scietnifico le leggi di natura, si ritiene che il suo utilizzo si possa prestare in setting di cinematerapia dedicati a contesti in cui sia importante la "rifondazione" di progetti personali di vita, momentaneamante contratti nell'esperienza del singolo La nostra personale opinione circa il suo impiego, è, ad esempio, per l’utilizzo di tale genere per la valorizzazione delle risorse personali dell'individuo (piccolo o grande che sia). Ad esempio, nel film in oggetto viene mostrato correttamente l’assunto darwiniano della sopravvivenza del più adatto (non del più forte, si badi bene!) e ciò può far comprendere quanto sia opportuno e necessario andare oltre i propri limiti, saper riconoscere le insidie dell’ambiente in cui si vive e si opera, imparare una nuova disciplina di sé stessi, non essere statici nei propri obiettivi, liberarsi da paure e schemi mentali non più adattivi.
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